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Deformità variabile di un poliedro verbale arzigogolato

Sono rasato e non indosso né càmice né camicie di raso. La mia sedia sa di sedimento umano e se la dimentico la mia identità rimane identica. Il mio unico vizio è l’ozio di cui non sono mai sazio. La masturbazione non è turpe: chiedere alle truppe. Non serve un oracolo per calcolare quando eiaculo: scorgo precocità nel mio scroto scorbutico. La mattina è un mattatoio se mi alzo e sobbalzo per un corridoio corroso da corredi e da corde vocali cordiali. Mi ricordo i cardini di un cardinale cardati da un cardiochirurgo codardo. Gli inni suonano tutti gli anni, tutti gli anni alcuni alunni studiano gli Unni, mentre io m’impegno per un disegno indegno di Minnie. La mia mano è una manna mandata, mi hanno detto, da mandolinisti ben vestiti. Musicisti senza muse e senza pause che capitano nelle case e lasciano cadere delle cose: così accade che ogni dècade il sonno dei sogni decade. Non è scrittura scaltra scritta da un circense circoscritto: è un arzigogolo relegato a regole irregolari per il realismo di Gogol’ o per il fascino del fascismo del gol. Mestruo magenta vicino a un’agenda sullo sfondo plumbeo: palombari anomali e bipedi in parte calamari per regressioni complementari in situazioni elementari. A sud del Cairo ormai c’è una meta cara alle cariche caricate sulle carcasse camminanti: kamikaze deambulanti tra ambulanti, ambulanze e mattanze sonnambule. Concludo collidendo contro un chiodo.

Francesco

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