11
Ago

La comunicazione è disturbata

Pubblicato martedì 11 Agosto 2020 alle 17:13 da Francesco

Il mondo occidentale barcolla sull’orlo del precipizio, il futuro è sinonimo di azzardo, sul mio orizzonte non si staglia nulla di nuovo e aleggia nell’aria, già di per sé pesante, la sensazione che il peggio debba ancora venire, ma io cerco di rendermi estraneo a tutto, anche a me stesso, e in una certa misura ci riesco. Conosco i limiti del linguaggio umano e sono consapevole della sua inaffidabilità, perciò cerco di guadare i fiumi laddove l’acqua sia più bassa e non tento di gettare ponti che sono destinati a perire nelle correnti delle mistificazioni o dei malintesi.
Credo che la necessità di comunicare sia immanente all’uomo, ma questo bisogno può essere soddisfatto senza che diventi la croce vitalizia di chi provi ad appagarlo: est modus in rebus. Vi sono delle priorità e io non posso snaturarmi per condividere qualcosa con qualcuno, manco in quest’epoca di distanziamenti e sospetti.
Prediligo il soliloquio in quanto traggo sommo giovamento della discussioni che intavolo tra me e me, però talora vi coinvolgo anche qualche gatto di passaggio. La realtà è più sfaccettata di quanto traspaia dal mio pragmatico riduzionismo, ma io semplifico tali cose poiché non mi va di perdere tempo nelle loro complicazioni. Non intendo costruire edifici o cattedrali nel deserto che rischino di crollare al primo accenno tellurico, però non escludo che qualcuno possa riuscirci con tutte le intenzioni antisismiche e il favore delle forze cosmiche.
Sono poche le volte in cui mi sono sentito veramente connesso ad altri individui della mia specie e mi pare che questo tipo d’esperienza sia piuttosto diffusa, ma io ne ho fatto la mia forza e quindi non ho proprio niente di cui lamentarmi: posso comunque cercare qualcos’altro per dare volume e forma a una rimostranza di facciata; tanto alla fine qualcosa si trova sempre.

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12
Feb

I consueti limiti della specie

Pubblicato mercoledì 12 Febbraio 2020 alle 23:56 da Francesco

Non ho ragioni apparenti per cercarne di sostanziali e dunque mi oriento al di là di certe premesse che si legano alle loro naturali conseguenze. Attorno a me percepisco la vacuità di ogni linguaggio e la profonda incomunicabilità che caratterizza ogni tentativo dialogico.
Le parole non riescono a sostenere il peso di ciò che rappresentano e non di rado le reciproche incomprensioni risultano la massima espressione di una velleitaria autenticità. Secondo me i silenzi sono gli unici depositari delle domande e delle risposte a cui ognuno può accedere soltanto dentro di sé. Scrivo per me stesso e a me stesso parlo poiché le mie frasi non potrebbero raggiungere nessun altro neanche se fossero diffuse a reti unificate. Riconosco ovunque il dominio del soliloquio, anche quando presto attenzione ai miei interlocutori e sulla base di quest’ultima fornisco poi uno spontaneo contributo alla conversazione, ma ai miei occhi e alle mie orecchie la questione si risolve quasi sempre in un gioco di ruolo. Non mi disturbano simili dinamiche, anzi, talora sono contento di prendervi parte per mero diletto, come una serata in un luna park, però cerco di soppesarle per quello che sono, ovvero poca cosa, e quindi non mi aspetto nulla di quanto possono millantare.
Trovo che le speranze siano piuttosto ingombranti e, per mia somma fortuna, non so neanche se me ne sia rimasta qualcuna incastrata nel recente passato. Cerco di vivere con la maggiore leggerezza possibile, a volte come in uno stato di abbandono sull’orizzonte del fatalismo: in questo modo riesco a regalarmi molti momenti di quiete. Non m’interessa granché la vita altrui in quanto mi bastano i difetti del mio egocentrismo e non intendo farne una collezione. Sono autoreferenziale da molto tempo, ma forse certe cose sarebbe andate meglio se avessi cominciato da quand’ero in fasce. Talora l’esperienza è una insegnante tardiva e la sua supplente, l’intuizione, non si dimostra sempre pronta a subentrarle.

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28
Lug

Appunto esemplare

Pubblicato lunedì 28 Luglio 2008 alle 02:40 da Francesco

La mia vita interiore merita tutti gli elogi con i quali la investo regolarmente. Io non ho riferimenti sentimentali né spirituali, tuttavia la mia esistenza procede bene. Non ho ambizioni e allo stesso tempo non appassisco nell’indolenza. Per un capriccio filantropico vorrei inebriare i miei simili con le sensazioni positive che mi accompagnano quotidianamente, ma se ci provassi probabilmente la mia vanità assopita si sveglierebbe di soprassalto e prevaricherebbe sulla genuinità della mia armonia. Non reprimo totalmente le espressioni negative della mia personalità e lascio a questi elementi lo stesso spazio che un pastore può concedere alle sue pecore. Le mie descrizioni introspettive sono caratterizzate da una forte monotonia, ma quest’ultima è una prova della loro validità. Ogni tanto cerco di ignorare ciò che sono per affacciarmi sulla mia vita da un’altra prospettiva. Qualche volta mi sembra che la mia disinvoltura strida con la mia inclinazione solitaria, ma in realtà la prima è la figlia della seconda. È la solitudine che mi ha insegnato a non temere le parole ed è grazie a lei che posso affrontare qualsiasi discorso senza provare imbarazzo. Per me è importante avere le capacità di compiere determinate azioni, ma ai fini del mio equilibrio non è fondamentale che io le applichi per ottenere ciò che desidero. Talvolta la noia penetra la pace nella quale vivo abitualmente, ma le sue infiltrazioni sono brevi e spesso avvengono con la complicità della stanchezza. Sono più pragmatico di quanto appaia dai miei appunti prolissi e mi rivedo ancora nel passaggio di un pezzo acustico che ho ascoltato spesso durante l’adolescenza: “I‘m a small town white boy, just tryin’ to make ends meet, don’t need your religion, don’t watch that much TV, just makin’ my livin’ baby well that’s enough for me“.

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