19
Feb

Trattato dell’età

Pubblicato domenica 19 Febbraio 2017 alle 18:33 da Francesco

Nei saggi di Manlio Sgalambro ho trovato più volte delle caustiche certezze, piccole opere che sono state create per via di levare e ai piedi delle quali ho notato sempre lo stesso materiale di risulta: la consolazione. Pagina sessantatré del “Trattato dell’età” si conclude così: “La specie non è niente, alcuni uomini sono tutto”. Ciò è innegabile. Io stesso sono parte di coloro che fanno soltanto volume e non lo affermo in un accesso di stucchevole modestia, ma è quanto decreta la realtà: il mio pregio tutt’al più è quello di averne contezza.
C’è un altro bel passaggio dieci pagine dopo; l’apertura di una chance in relazione al divenire che ha tutta l’onestà di una visione avulsa da qualsiasi forzatura: “Colui che ha accolto in sé il Tempo (la maiuscola è voluta), pur nello spavento, si sottrae al giochino del ricordo, al balbettio della durata morente che mescola il cammino percorso con la strada smarrita. Concetti, non ricordi sono il suo pane. Questi ultimi provengono dal calore malsano del letto e del dormiveglia. I concetti, invece, dall’esperienza adulta, dai traffici della vita, dall’invecchiamento di cose e fatti, da un’ultima occhiata al cielo”.

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27
Set

Un paio di Adelphi

Pubblicato martedì 27 Settembre 2016 alle 20:43 da Francesco

A pagina centoventicinque de “La morte del sole” di Manlio Sgalambro è scritto quanto segue: “Noi non siamo figli del piacere dei nostri genitori, ma della loro ignoranza del piacere”.
In questo breve passaggio ho trovato una sintesi perfetta di cui ero in cerca da tempo e che io stesso non sono mai riuscito a coniare con altrettanta efficacia.
Nietzsche scrisse “La nascita della tragedia”, io invece potrei intitolare il mio prossimo saggio “La tragedia della nascita” perché è così che considero qualsiasi aborto mancato.
Quando mi complimento per un nuovo nato lo faccio solo come gesto pro forma, giusto per non aprire delle parentesi antipatiche in contesti inadeguati, ma spesso riesco a scongiurare anche questa finzione.
Non scado in facili stereotipi ed è per tale ragione che da qualche parte (ancora in itinere) io affermo: “La vita vale la pena di essere vissuta, ma non data”.
Non ho mai trovato un testo di Sgalambro nel quale vi fossero derive consolatorie ed è proprio un altro passaggio de “La morte del sole” che mantiene la barra dritta: “Se si dà il vero non si dà il bene, perché il bene riempie il vuoto della verità; non appena però il vero appare, il bene non ne sopporta la vista. Questo dileguarsi del bene davanti al vero è il pessimismo”.
Il testo di Emanuele Severino invece ha un taglio più accademico, eminentemente filosofico ed è anche lettura difficile per le continue astrazioni che ne richiede la sua piena comprensione; non è possibile scriverne neanche due righe poiché a mio avviso si presta poco a qualsiasi genere di accenno: o tutto o niente. Per chi ama Heidegger (magari prendendo la rincorsa da Parmenide) con Severino si trova a casa (o quasi).

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12
Lug

Del delitto

Pubblicato giovedì 12 Luglio 2012 alle 05:32 da Francesco

Ultimamente ho deciso di rallentare il passatempo della lettura con tre libri. Non sono abituato a mantenere contemporaneamente l’attenzione su argomenti diversi e immagino di non esserne neanche in grado senza ridurre l’assimilazione dei contenuti in una frammentazione dispersiva. Tra le parole di cui mi circondo in questo periodo ci sono quelle di Manlio Sgalambro. È la prima volta che leggo qualcosa del filosofo siciliano e ho deciso di avventurarmi tra le sue riflessioni perché ho sempre apprezzato la sua impronta nei testi di Franco Battiato.
Nel piccolo libro pubblicato da Adelphi, “Del delitto”, ho rinvenuto delle considerazioni che hanno ricevuto una buona accoglienza al mio interno. Già sulla quarta di copertina si può trovare una bella sciabolata che mi ha strappato più di un sorriso: «”L’uomo è mortale” non significa che “l’uomo muore” – insigne banalità concettuale –, ma che l’uomo è datore di morte». Sottoscrivo! C’è un passaggio che mi ha davvero impressionato per la potenza evocativa benché non suoni come qualcosa di straordinario: «Per quanto siano lontani tra loro, i nostri pensieri si accordano così come in un mucchio di macerie si accordano le cose più disparate». Senza eccedere troppo  con le citazioni me ne consento altre due che riciclerò all’uopo come arma d’offesa: «La volgarità del cattolicesimo ci ricorda che è una religione incarnata. […] Ciò che si può chiamare l’acme del suo glorioso materialismo è l’ansia di resurrezione». Ancora: «Quanto al cattolicesimo, non redime né salva: semplicemente l’individuo vi si conserva come le monetine in un salvadanaio». Non sempre lo stile di Sgalambro mi risulta potabile, inoltre egli si avvale di citazioni e rimandi che richiedono poliglottismo e un bel bagaglio filosofico, ma io colgo fino a dove posso e il resto lo lascio germogliare nel tempo: chissà che un domani non riesca a farlo mio con poco, come un fiore di campo. Ho notato diverse assonanze con Emil Cioran, ma forse sarebbe meglio definirle dissonanze, senza curarsi troppo delle parole, del loro significato e tanto meno del loro peso.

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