26
Mar

Archivio onirico: sogno n° 34

Pubblicato martedì 26 Marzo 2024 alle 20:59 da Francesco

Ciò che ricordo di questo sogno può essere diviso in due parti. Nella prima mi trovo a bordo su un volo di cui non conosco la destinazione, ma provo un certo disagio. A un certo punto l’aereo comincia a volare molto basso, entra in una galleria e tocca terra per fermarsi davanti a un passaggio a livello. A questo punto noi passeggeri scendiamo ed entriamo in una sorta di hotel dove ci viene offerto del cibo che io rifiuto: il mio viene mangiato da un cane, forse un alano.
Nella seconda parte mi trovo in un luogo della mia infanzia, ma nel sogno vi è stata eretta una struttura molto pacchiana che impedisce di vedere l’orizzonte. Da una parte ci sono persone a me invise e dall’altra dei turisti: ai primi dico che vado dai secondi per organizzare una partita di calcio, ma nessuno vuole giocare e così finisco ritrovarmi a mangiare un dolce da solo.

Il materiale è molto e temo che ogni mia possibile interpretazione sia destinata a risultare più deficitaria del solito, ma vale comunque la pena tentarne una.
A mio parere è un sogno in cui giocano un ruolo preminente polarità opposte, come l’altezza iniziale dell’aereo (qualcosa di celeste ed elevato) e l’atterraggio impossibile in una sorta di tunnel (qualcosa di terreno), ma in questo senso figurano anche la presenza di due diversi gruppi di individui e la mia volontà d’unire in contrasto con l’altrui indifferenza.
Secondo la mia lettura queste immagini vogliono significare che ogni mio alto proposito debba essere perseguito da solo, difatti l’azione collettiva (fare parte dei passeggeri in un aereo, come se l’aereo fosse il simbolo di una causa comune) mi porta in basso (la galleria) e mi fa disprezzare quello che ne consegue (il cibo a cui dico no). La medesima spiegazione si presta all’altra parte del sogno, in particolare per l’orizzonte obnubilato da un’orrenda costruzione che vivo come un pugno in un occhio. In buona sostanza non c’è nulla d’importante o realmente appagante che io possa fare insieme a terzi. Ammesso che la mia analisi abbia una qualche fondatezza, mi chiedo come mai l’inconscio abbia mostrato simili contenuti giacché mi paiono nient’affatto sommersi.

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11
Mar

Archivio onirico: sogno n° 33

Pubblicato lunedì 11 Marzo 2024 alle 22:24 da Francesco

Non sono in grado di dare una composizione organica ai frammenti onirici che quest’oggi, al risveglio, ho avuto modo di trafugare nello stato vigile, tuttavia ci sono due episodi significativi ai quali attribuisco un fil rouge.
In una prima parte del sogno mi trovo a bordo di un’auto con degli estranei e all’improvviso avviene un incidente che ci coinvolge; in un momento successivo mi trovo all’aperto, vicino a una donna malata attorno alla quale presenziano altre persone oltre a me.
Non mi è facile capire il simbolismo di queste scene giacché  si prestano a letture d’opposta polarità ma egualmente plausibili. A mio parere una possibile spiegazione dai risvolti negativi implica un avvertimento per l’imminenza di eventi nefasti, un tetro monito per fatti che mi soverchieranno e per i quali non potrò fare niente: nel sogno alla guida dell’auto non ci sono io e questo dettaglio a mio avviso indica l’impotenza di fronte a possibili difficoltà; la donna morente, in quest’ottica, può rappresentare una perdita di qualunque genere.
Un’altra lettura, anch’essa esiziale, può esprimere un’ansia latente o un disagio sopito che l’inconscio manifesta in questo modo poiché la tenuta della mia psiche ne impedisce l’ingresso nella vita vigile.
Reputo valida anche l’ipotesi che inquadra il sogno come accettazione e catarsi per qualcosa su cui non ho avuto possibilità d’intervento, perciò durante il sonno l’inconscio può aver sbrigato quei lambiccamenti su cui io non mi sono speso a sufficienza da sveglio: se così fosse, le scene oniriche sarebbero riverbero del passato e non cassandre per l’avvenire. Solo il tempo saprà dir meglio sul sogno in esame e dunque non mi resta che attenderne il verdetto.

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1
Mar

Archivio onirico: sogno n° 32

Pubblicato venerdì 1 Marzo 2024 alle 14:36 da Francesco

Era da circa un paio d’anni che non riuscivo a trattenere nelle memoria elementi sufficienti per annotare un sogno, ma la scorsa notte ne ho fatto uno molto vivido che la lasciato alcune tracce nel mio stato vigile.
Nel sogno mi trovo disteso in un corso cittadino e accanto a me ci sono delle persone, anch’esse a terra. Capisco che la nostra posizione è dovuta alla minaccia delle armi, difatti siamo tenuti sotto tiro da alcuni banditi. Nel gruppo di criminali è presente anche una ragazza vestita con eleganza che d’un tratto, per intimorirmi, spara con un fucile da cecchino mentre dice: “Facciamo il tiro al piattello”. Dopo quest’ultimo colpo mi alzo in piedi e scatto via perché con la coda dell’occhio la vedo intenta a ricaricare, tuttavia lei fa in tempo a esplodere un altro colpo che non mi raggiunge. Riesco a trovare riparo in un edificio e a quel punto mi sento sollevato, però provo una pena per gli altri che sono rimasti alla mercé dei criminali.

Credo che l’origine di questo sogno sia da ascrivere alla fine di un epistolario platonico che è intercorso per un po’ di tempo tra me e una signorina. Vi è un’evidente ambiguità perché, da una parte provo sollievo quando trovo riparo e ottengo una relativa sicurezza, ma dall’altra avverto un senso di pena per chi è rimasto indietro, ossia quegli ostaggi che secondo me rappresentano delle mie istanze psichiche ancora legate al rapporto platonico.
A mio parere la dinamica ricattatoria è stata affibbiata dal mio inconscio alla situazione giacché veniva da me esperita in quella maniera, ma ciò non implica che lo fosse realmente. Salvarsi da soli e l’impossibilità reale o presunta di conoscersi a vicenda: in ciò ravviso l’essenza del sogno.

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26
Lug

Archivio onirico: sogno n° 31

Pubblicato domenica 26 Luglio 2020 alle 02:08 da Francesco

Ieri i miei ritmi circadiani sono stati sconvolti e suppongo che questo brusco cambio di ritmi sia stato all’origine della raffica di sogni che ho esperito nel pomeriggio, ma di cui alla fine sono riuscito a conservare solo i frammenti di un singolo episodio.
Mi sono ritrovato in un sorta di mansarda e davanti a me v’era una vetrata triangolare su cui campeggiavano delle linee dorate, come se fossero state aggiunte con lo scopo di rendere fattibili certe misurazioni: attraverso questa finestra riuscivo a vedere i tetti della metropoli e all’orizzonte non scorgevo un edificio più alto di quello da cui lanciavo lo sguardo.
A un certo punto ho aperto una porta e ho messo piede in una sorta di corridoio esterno. Alla mia destra si trovavano le persiane di un’altra casa e davanti a me un’altra abitazione ancora: da una finestra di quest’ultima è apparsa in lontananza una donna nuda e appena l’ho vista in me è scattato un moto di pudicizia che mi ha fatto tornare all’interno della mansarda.
Mi sono messo a letto e dopo un po’ di tempo, non so quantificare quanto, ho ricevuto un colpo alla parte destra del petto che io ho pensato fosse una coltellata, ma in realtà è stato come un pugno fortissimo di cui per altro, non so come, ho intuito l’arrivo: appena è accaduto tutto ciò io mi sono svegliato immediatamente (per davvero) con un forte senso di angoscia.

Mi avventuro in una delle possibili interpretazioni di questo sogno, ma come al solito lo faccio senza alcuna pretesa e con lo scopo precipuo di non lasciare nulla d’intentato.
La mansarda forse rappresenta una sorta di torre eburnea, un luogo di ritiro al di sopra del mondo, un simbolo di isolamento, e lo inquadro in questo modo poiché trascorro molto tempo da solo, immerso tra i miei interessi solipsistici. La porta che a un certo punto apro, quella che dà su un corridoio esterno, secondo me dev’essere intesa come gli sporadici affacci sulle altrui esistenze su cui però non mi trattengo. La donna in vesti adamitiche, quindi nuda, è l’oggetto di un desiderio archetipico, immanente alla mia natura, ma anche motivo di repulsione per ciò che può implicare. Il colpo che ricevo nel sonno è quello dell’inconscio, come se mi punisse poiché non ne assecondo a sufficienza le istanze, difatti mi colpisce a destra e non a sinistra (dove risiede il cuore) perché comunque io gli servo vivo, ma nel sogno per un attimo mi sembra di morire e quindi di essere assassinato.
In buona sostanza la storia è sempre la stessa. Rigetto i bisogni naturali d’affetto e contatto muliebre poiché il loro soddisfacimento è rischioso, precario e inconcludente, ma la mia natura d’essere umano reclama se stessa laddove può farlo, ovvero in una dimensione onirica su cui io non posso avere controllo e forse quest’ultimo è rappresentato dalle linee dorate che si trovano sulla vetrata della mansarda, quasi vi fossero state apposte per misurare qualcosa.

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17
Giu

Archivio onirico: sogno n° 30

Pubblicato domenica 17 Giugno 2018 alle 23:17 da Francesco

Diverse notti fa ho sognato di trovarmi lungo un sentiero di montagna, su una cima andina, ma non sono in grado di spiegare come mai io sia certo di questo particolare geografico: lo so e basta. D’un tratto invece di procedere avanti ho preso a camminare verso il punto di partenza e, sulla via del ritorno, sono inciampato sopra una pietra. La caduta mi ha fatto finire in un precipizio buio e in quel momento ho avuto il privilegio di provare la sensazione che precede la morte, difatti non mi sono svegliato di soprassalto e ho “vissuto” in maniera distinta gli istanti in cui un individuo prende atto dell’imminente ineluttabilità.

Intuisco la natura profetica di questo sogno, tuttavia soltanto dopo il vaglio del futuro (quand’esso si muterà in un recente passato) o al cospetto dei suoi più convincenti prodromi a me sarà concesso di comprenderne davvero il carattere, infatti non escludo che possa addirittura trattarsi di un buon auspicio. In quest’occasione non riesco neanche ad accennare un’ipotesi e di sicuro non ne azzardo una per il solo scopo di lasciare qualche riga in più a campeggiare intorno al suo senso ultimo.

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30
Set

Archivio onirico: sogno n° 29

Pubblicato sabato 30 Settembre 2017 alle 21:01 da Francesco

La scorsa notte ho sognato il suicidio di una ragazza con cui in passato ho parlato a lungo: Sheila. Costei era piegata in terra, io la vedevo di spalle e tentavo di farla desistere dal gesto estremo, ma ogni mia parola non faceva altro che peggiorare la situazione e anche gli appelli di altre persone là presenti non sortivano effetto alcuno.
A un certo punto Sheila ha premuto il grilletto della pistola e si è sparata alla tempia sinistra: si è accasciata subito a terra, alla sua destra, ma io non l’ho più scorta poiché la sua figura è scomparsa dalla mia vista appena è caduta. A quel punto lo scenario del sogno è cambiato improvvisamente e mi sono ritrovato in una sorta di commissariato dove nutrivo un forte senso di colpa, ma nessuno mi aveva accusato di nulla ed ero libero di andarmene.

Nel mio caso questo sogno può avere molteplici interpretazioni, ma in ognuna di esse il suicidio ha solamente un valore simbolico. Se non avessi riconosciuto la suicida avrei finito per ritenere quest’esperienza onirica come un monito contro il mio eventuale coinvolgimento nel fallimento di terzi, tuttavia devo considerare un’altra spiegazione in quanto l’identità della protagonista mi è risultata nota sin dall’inizio.
Quella ragazza, Sheila, è stata per un arco di tempo la depositaria di un mio investimento emotivo che ha rispettato ancora una volta i facili pronostici dell’inconcludenza, ma a quanto pare gli echi del suo distacco si sono protratti e suppongo che l’inconscio se ne sia avvalso per protestare contro l’assenza di relazioni sentimentali nella vita del sottoscritto.
Ormai mi sono reso conto che almeno un paio di volte all’anno l’inconscio mi tira simili scherzi benché le sue rimostranze cambino sempre modalità e contenuti: il mio inconscio ha il disco rotto e vorrebbe che attribuissi al mio cuore lo stesso guasto.

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1
Feb

Archivio onirico: sogno n° 25

Pubblicato lunedì 1 Febbraio 2016 alle 22:54 da Francesco

Ho sognato d’investire un cane sulle strisce pedonali mentre la sua padrona lo teneva al guinzaglio: un carlino, per la precisione. Appena mi sono reso conto dell’incidente è subentrato in me un forte senso di colpa. La scena onirica si è poi trasferita in un’abitazione dove un uomo mi ha rimproverato con veemenza: “Non ti voglio più vedere a Roma”; all’affermazione di costui io ho risposto che “a Roma ci lavoro”.

Ipotizzo che il cane rappresenti la mia parte istintiva, ma nel sogno appare come un carlino, ovvero un cane di piccola taglia e dunque ne deduco che si tratti di un’istintività ammansita dalla ragione o può darsi che l’immagine costituisca una prevaricazione di quest’ultima: è come se uccidessi involontariamente la mia parte irrazionale. Il conseguente senso di colpa è la mia intuizione di quanto un atteggiamento così censorio sia sbagliato e l’uomo che mi rimprovera può essere l’inconscio, difatti il mio errore non avviene sotto la giurisdizione dell’Io.
Roma è una città che per me ha molteplici significati, ma in questo caso non ricorro a una sua interpretazione personale. L’uomo (l’inconscio) non vuole più vedermi a Roma dove io “lavoro”, ovvero non vuole che la mia razionalità risulti un ostacolo alla mia vita: almeno così sono portato a credere. Alla luce di queste considerazioni io suppongo che nel sogno Roma in quanto caput mundi rappresenti la totalità dell’esistenza, difatti tutte le strade portano a quest’ultima.
A mio modesto avviso la presenza simbolica della razionalità è avallata ulteriormente dalle strisce pedonali: queste indicano l’unico punto in cui per la legge (la ragione?) al cittadino è permesso di arrivare dall’altra parte di una strada (vivere), tuttavia quest’ultima può essere attraversata in altre zone nonché in altri modi. La mia parte irrazionale reclama se stessa.

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7
Nov

Archivio onirico: sogno n° 23 e sogno n° 24

Pubblicato sabato 7 Novembre 2015 alle 02:52 da Francesco

In queste ultime settimane ho fatto due sogni apparentemente opposti che a mio avviso sono invece le due facce della stessa medaglia, ovvero l’esistenza: Eros e Thanatos.



Sogno n. 23

Mi trovo in una stanza e d’un tratto, guardando il cielo, noto un bagliore che traccia una linea bianca verso l’alto da cui poi ne disegna un’altra verso il basso: l’immagine che ne consegue è simile a quella dei due lati di un triangolo equilatero che s’incontrano al vertice dello stesso.
All’improvviso un altro bagliore precipita verso di me e il mio mondo, tuttavia non faccio in tempo a prenderne pienamente atto e mi ritrovo altrove. Tengo la mano di una persona sconosciuta e questa mi dice che non rivedrò mai più chi ho incontrato fino ad allora. Sono di nuovo bambino e passeggio su un suolo bianchissimo che somiglia alla superficie lunare: altro non lo rammento.



Sogno n. 24

Mi trovo in un locale con delle persone che non conosco. Ad un tratto esco fuori e mi siedo per terra accanto a una ragazza senza che in me vi sia alcuna intenzione di volerla avvicinare, però ne riconosco i tratti del volto e quando anche lei riconosce i miei subentra tra noi un silenzio che io rompo con un elogio di sua maestà il caso. Costei ha capelli corvini e un viso che conosco da tempo immemore. La ragazza ha qualcosa con sé, una bimba piccola che accudisce sotto una coperta, ma l’infante a sua volta si trova dentro a una bizzarra custodia di plastica che si adatta ai suoi movimenti. Chiedo il nome della piccola: Acella. Faccio notare alla ragazza come il caso ci abbia consentito di ritrovarci e le chiedo se sia fidanzata perché vorrei frequentarla: lei sembra convincersi dei miei intenti e il sogno s’interrompe.

Il primo sogno è chiaramente influenzato dai miei recenti approfondimenti sulla metempsicosi e forse esprime anche il disincanto del mio inconscio per la vita corrente, infatti a livello cosciente non avverto nulla del genere; c’è un’idea palingenetica, la voglia di un azzeramento, una tabula rasa da compiere per ripartire ex novo, tuttavia l’idea di rinnovamento non è poi così… nuova! Immagino perciò che i bagliori rappresentino un certo modo di distruggere secondo un preciso ordine, affinché la ricostruzione possa avere un senso: le due linee a mio avviso rappresentano quell’ordine sotto forma di regolarità geometrica. Quella persona che non vedo e di cui tengo la mano sono io, ancora in fase di divenire, perciò la stretta è un punto tra la mia nuova nascita e il futuro, ancora indefinito. La superficie lunare penso che sia un dettaglio scaturente da alcune mie letture, precisamente riguardanti Gurdjieff: in queste la Luna è la destinazione di quelle anime che finiscono sottomesse a novantasei leggi e si ritrovano così in condizioni minerali: in tale dettaglio colgo un indizio su quanto impiegheranno i miei progressi per realizzarsi, difatti nelle circostanze anzidette, secondo determinati insegnamenti, a quel punto l’unica evoluzione possibile rimane quella collettiva con i suoi tempi molto estesi. Non nutro alcuna convinzione in merito a quest’esoterica parte, ma l’ho chiamata in causa esclusivamente a fini interpretativi.

Nel secondo sogno ho provato una dolcezza infinita e solo un’altra volta ho serbato il ricordo di una sensazione così forte. Al risveglio mi sono davvero dispiaciuto che tutto quello che avevo provato non appartenesse alla cosiddetta realtà e per un po’ ne sono rimasto amareggiato. 
La ragazza del sogno ha un nome preciso: Stefania. Per lungo tempo costei ha rappresentato  per me un ideale di bellezza, carattere, finanche indole che io, per mia colpa, non sono riuscito a raggiungere, ma dubito che il sogno si riferisse a lei e penso invece che l’abbia usata come simbolo per rappresentare ancora una volta la componente femminile di cui la mia vita è ignara. Con l’evocazione di questa figura l’inconscio mi ha reso note le sue rimostranze per le carenze affettive che in me si sono pressoché cronicizzate e la riprova dell’impiego di quella figura è nel nome della bimba: Acella. Quest’ultimo in realtà è un cognome tipico del sud, presente anche nell’area da cui proviene la ragazza suddetta. La bizzarra custodia di plastica della bambina è invece un riferimento a me, ovvero è la mia Anima (in senso junghiano): essa non cresce ed è per questo che si adatta alla custodia in cui è portata. Illesa, ma in perenne stasi, la femminilità di una donna rimane per me un’idea astratta. Il mio elogio del caso e il tentativo di riprendere a interloquire con Stefania esprimono nel sogno una speranza che nella realtà della veglia è stata soltanto una frustrazione.

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13
Mag

Archivio onirico: sogno n. 21

Pubblicato mercoledì 13 Maggio 2015 alle 17:12 da Francesco

Forse negli ultimi giorni non mi sono esposto alle influenze giuste o forse certe volte, malgrado tutti gli sforzi per condizionarlo, l'inconscio non trova altre maniere che le cattive per veicolare i suoi contenuti. Il sogno di questa notte è stato inquietante nella forma e triste nella sostanza, ma l'oracolo si è espresso e a me non resta che prendere atto dei suoi annunci.

Mi ritrovo in una classe universitaria che siede all'aperto: i banchi e la cattedra sono sistemati vicino alla curva di una strada dove in quest'ultimo periodo passeggio spesso. Provo un po' di angoscia perché non sono uno studente e temo che la professoressa possa scoprirmi. Accanto a me siede un mio stretto conoscente, noto casinista: d'un tratto egli si alza e va a disegnare un volto su una parete rocciosa che funge da lavagna. La docente rimprovera il suo allievo indisciplinato ed entrambi iniziano a discutere con veemenza, però non capisco cosa si dicano.
I due sono ancora intenti a parlare quando io mi vedo dentro il prototipo di un nuovo treno che è diretto a Madrid: accanto a me siede una ragazza che non conosco e il cui fascino tuttavia mi pare familiare da tempo immemore. Il desiderio divampa.
Inizio a parlare con la mia vicina e dopo una lunga chiacchierata lei mi dice: "Il mio posto è qua". All'improvviso un responsabile del mezzo inizia a inveire contro un suo collega e a bordo scatta il panico perché un dispositivo del locomotore è fuori controllo: il viaggio di collaudo si appresta al disastro. Dopo poco il treno deraglia e si capovolge più volte. Vedo qualcuno che esce illeso dall'incidente e corre lungo una banchina (evidentemente tutto è avvenuto a… destinazione), perciò immagino che mi sia messo in salvo, ma quando guardo in faccia chi fugge mi accorgo che non sono io quello che l'ha scampata e allora capisco di essere morto. Mi risveglio di colpo.

Il contenuto di questo sogno funesto attiene non già all'amore, bensì a quanto può precederlo, ovvero quell'intima conoscenza tra individui che nelle sue massime espressioni sa scavalcare muri invalicabili e persino coloro che con pazienza certosina ne sistemano ogni mattone.
L'ambiente universitario chiama in causa una persona precisa che intuizioni tanto intraducibili quanto attendibili mi fanno ritenere molto affine a me, quasi che in una vita passata ci fossimo dati appuntamento in questa.
La mia paura di essere scoperto dalla professoressa come infiltrato simboleggia il contrasto che v'è sempre stato tra me e gli ambienti preposti all'insegnamento: è la mia totale repulsione per simili contesti. Il completo disinteresse per le dispute di quei mondi è rappresentato dalla piena noncuranza con cui sfuma la scena dell'alterco tra il mio conoscente e l'insegnante.
La ragazza che trovo in viaggio è come se fosse una vecchia conoscenza benché di fatto ne sappia poco. Il nuovo prototipo del treno indica modi inediti di rapportarmi alla mia vicina, figli di una evoluzione personale e dell'assestamento di alcune convinzioni che solo da poco hanno trovato in me la loro piena quadratura, tuttavia il disastro che ne segue conferma come ogni tentativo vecchio o nuovo sia destinato a fallire miseramente: o forse no.
"Il mio posto è qua", mi dice costei prima del disastro: ovvero ovunque meno che accanto a me perché io non resterò là. L'incidente avviene dentro la stazione in quanto ognuno volente o nolente raggiungerà la propria meta, cioè la morte, tuttavia è la maniera in cui ciascuno vi arriverà che farà la vera differenza. Quest'ultimo punto secondo me è anche un monito che l'inconscio mi volge affinché io continui a trovare ogni senso dentro di me, come se di fatto fossi già morto, ma per ragioni di sopravvivenza emotiva e non per partito preso: ciò si accorda con le immagini finali di questo episodio onirico.
Mi devo guardare da un possibile errore in d'interpretazione, difatti se mi piegassi alle lusinghe delle difese regressive finirei per credere che il mio compito sia quello di chiudermi in me stesso e userei tali spunti per avallare una condotta autodistruttiva, ma in realtà devo fare l'esatto opposto, in tempi e modi che siano in accordo con la parte più autentica di me e con il corso degli eventi. Il cuore deve restare aperto, spalancato, anche se alla fine, oltre la sua soglia, non restasse altro che una città fantasma, forse mai fondata.

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18
Feb

Archivio onirico: sogno n. 13

Pubblicato lunedì 18 Febbraio 2013 alle 07:14 da Francesco

Mi sono svegliato da poche ore e sono riuscito a imboscare qualche frammento del sogno nel quale l’inconscio mi ha catapultato questa notte.
Mi trovavo a camminare su degli scogli ed ero in procinto di tornare a casa, ma per attraversare un punto ho dovuto indugiare su una roccia più bassa e non appena vi ho messo ambo i piedi il livello del mare si è alzato in maniera imprevedibile, fino al mio petto. Non ho provato freddo né mi sono sentito bagnato. Ho continuato a camminare nel mare invece di proseguire lungo gli scogli e ad un tratto ho raggiunto un paese. Ho seguito una salita che correva parallela ad un muro di mattoni rossi e sono arrivato al centro del luogo. All’improvviso le strade soleggiate si sono pienate d’acqua e anche in questa occasione non ne sono stato bagnato benché mi ci sia trovato immerso fino al petto. Dopo una panoramica del paese allagato, sul quale comunque batteva un sole forte e dove nessuno era affatto agitato per l’evento, ho seguito una ragazza nell’androne di un palazzo in cui quest’ultima era stata invitata ad entrare da una signora di mezza età. Le due donne hanno discorso tra loro senza curarsi della mia presenza e la più anziana ha offerto degli abiti asciutti alla più giovane: io non sono rimasto molto all’interno dell’edificio e quando ne ho varcato l’uscita ho notato le strade completamente riabilitate.
A questo punto sul sogno è calata la sera e io mi sono ritrovato con un gruppo di ragazzi, tra cui dei francesi. Ci siamo diretti verso il luogo dal quale ero arrivato e là, tra gli scogli e i dirupi, abbiamo trovato un pièce teatrale in corso. Ad un tratto un ragazzo è rimasto impigliato in due cavi sottili che facevano parte del sistema d’illuminazione e io ho sentito l’obbligo di avvolgere quei fili con una striscia di plastica per liberare il suddetto senza procurare interruzioni all’opera, ma tutto ciò senza che mi fosse chiaro il perché. Una volta risolto il problema sono sceso tra gli scogli fino ad un punto in cui due pareti di roccia levigata correvano parallele verso il basso, dove il buio avvolgeva tutto e negava di scrutare alcunché; nel corso della discesa ho udito in lontananza e a più riprese il nome di Desdemona.

Questo sogno per me si presta ad un’interpretazione semplice benché il resoconto che io ne ho dato nelle righe soprastanti possa obiettivamente apparire piuttosto tortuoso e criptico.
La passeggiata sugli scogli la identifico con la vita stessa, frastagliata nel suo divenire come nei pensieri che ne costituiscono l’ossatura. L’impermeabilità all’acqua sono indotto a considerarla come la crescente indifferenza verso i moti della vita, a metà tra atimia e atarassia, e questa lettura è rafforzata in me dal fatto che l’acqua in questione sia quella marina, così soggetta ai flutti e alle maree. L’arrivo al paese attraverso la salita credo che simboleggi il mio ruolo nella società e lo inquadro anche come elemento descrittivo della parte ascendente di una parabola, ovvero la curva che meglio d’ogni altra rappresenta l’esistenza umana nella sua finitezza; difatti poco dopo quella stessa salita diviene una discesa, un ritorno, forse tanto ciclico quanto eterno. Il centro del paese lo immagino come l’allegoria dell’età adulta, ricca di occasioni perché è là che si riversano tutti gli entusiasmi, a mio avviso attribuiti dal senso comune alla giovinezza con una discutibile esclusività.
Per ciò che riguarda il mio ingresso nell’androne del palazzo, dietro la ragazza ma comunque a debita distanza da quest’ultima, io vi intravedo la mia incapacità di trovare una compagna che sappia aprirmi porte in cui io desideri entrare, difatti lascio l’edificio quasi subito. La donna più anziana, colei che discorre con la ragazza suddetta, la considero la proiezione della giovane nel futuro e l’offerta di abiti asciutti come una seconda possibilità che costei vorrebbe avere per le occasioni mancate di cui io, con buona pace della modestia, lì mi ritengo una delle incarnazioni. La sera che compare all’improvviso è nient’altro che una naturale variazione dell’ambiente e della coscienza che ivi volteggia su stessa. All’opera teatrale sugli scogli conferisco il valore rappresentativo delle dinamiche difficoltose, vaghe e sconnesse (nonché scoscese) dei rapporti interpersonali. L’aiuto che dò al ragazzo impigliatosi nei cavi del sistema di illuminazione lo vedo come la tendenza perfettibile verso l’obiettività; costui per me è un antagonista inconsapevole, per certi versi simile al personaggio di Iago nella tragedia di Otello: quest’ultimo dettaglio lo intuisco dal fatto che il sogno termina con l’eco del nome di Desdemona mentre io mi avvio verso il basso, ovvero verso l’idea della morte e non già in essa stessa come invece potrebbe emergere da un’interpretazione meno accurata, tuttavia non escludo che la mia sia ancor più superficiale perché di fatto in questa il pensiero scende e la realtà resta in superficie…
In altre parole è come se fossi un Otello più smaliziato e consapevole, in grado di aiutare Iago perché non lo reputo un nemico, bensì una prova per il raziocinio di Desdemona che è l’unico elemento in grado di vidimare l’amore con me o di decretarne l’incompatibilità. Nella conclusione del sogno trovo espressa tutta la mia repulsione per la seduzione e il possesso. Non vedo l’uomo come conquistatore, bensì come saggio che deve sforzarsi di comprendere davvero se Desdemona lo desideri e se lei abbia un alto livello d’introspezione, altrimenti che si getti pure tra le braccia di Iago e con lui sia felice o s’illuda di esserlo, risparmiandomi comunque l’inganno che quell’altra unione esemplifica: in pratica un atto di clemenza, dono delle circostanze, che dànno modo al sottoscritto di non vivere male la solitudine.
Vi è in tutto ciò rinuncia, attesa, speranza e morte. Reputo questo mio sogno quello più prodigo di simbolismo di cui io sia riuscito a portare reperti nello stato di veglia e anche l’interpretazione è la migliore che abbia mai fornito a me stesso. Sono lieto, molto lieto.

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