6
Gen

Appigli metafisici su una parete cerebrale

Pubblicato mercoledì 6 Gennaio 2016 alle 23:09 da Francesco

Ho fatto mia una domanda nella quale sono incorso durante una lettura serale: il linguaggio è una prerogativa degli esseri umani? A tale quesito non v'è ancora una risposta unanime, ma v'è una distinzione sostanziale da compiere, ovvero quella tra linguaggio e intelligenza: di fatti il primo non è indispensabile per il pensiero e la sua assenza non esclude la facoltà astrattiva.
Nella disamina dei tipi più comuni di afasia (cioè i disturbi del linguaggio di origine organica) ho letto che in ambito clinico sono ancora utilizzati dei riferimenti ad aree alle quali un tempo erano ascritte precise funzioni, ma la cui localizzazione è stata in seguito ridimensionata dai progressi delle neuroscienze: mi riferisco in particolare all'area di Broca e all'area di Wernicke.
Porto il nome di un santo che parlava con gli animali, una figura per cui oggi un sindaco non faticherebbe troppo a chiedere il trattamento sanitario obbligatorio, tuttavia mi domando se nel folclore e nella costellazione degli archetipi non vi siano già verità di cui la scienza deve tornare in possesso per tradurle nello spirito di questo tempo (ricorro qui a un’espressione di Jung): un po' come l'anamnesi di Platone. Quante cose (o presunte tali, monadi) sfuggono alla ragione o forse è questa che vi si ritrae per il timore che possa esserne sopraffatta.
Le lesioni di determinate aree provocano dei problemi di comprensione, altri tipi di danni invece cagionano difficoltà di espressione e perciò mi chiedo se la più intima essenza di un individuo sia riducibile all'efficienza del suo sistema nervoso centrale. A questo proposito mi torna in mente (e dove altrimenti?) il momento in cui Jung descrive l'incontro con Izdubar (episodio di cui anche pochi giorni fa ho fatto cenno): o meglio, lo scontro tra lo scientismo e la devozione infantile.
Malgrado la profonda solitudine del mio ateismo non riesco a ridurre tutto in termini organici e dunque non ho modo di attingere dalla tracotanza con cui taluni impugnano il rasoio di Occam per recidere ogni altra forma d'esistenza, ogni principio che non faccia sinapsi, ogni filo invisibile che colleghi tutto a un motore immobile.

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3
Gen

Ritmi circadiani

Pubblicato domenica 3 Gennaio 2016 alle 23:46 da Francesco

Talvolta è come se ognuno dei miei orologi biologici iniziasse a segnare un proprio fuso orario e puntualmente (sennò che orologi sarebbero?) questa discrepanza produce delle ripercussioni sui miei ritmi circadiani. Ci sono dei giorni in cui sono costretto a restare sveglio molto più del solito per costringermi ad avvertire i moti del sonno al momento opportuno, però almeno nelle ventiquattrore successive alla tirata pago la forzatura con uno stato di rincoglionimento, tanto per usare un termine tecnico che sappia comunque rendere l'idea di spossatezza.
In un manuale di neuroscienze ho compreso il ruolo che gioca il nucleo soprachiasmatico nei ritmi circadiani e sono rimasto sorpreso dal particolare di un esperimento in laboratorio in cui dei topi ne subivano il trapianto: alla fine essi assumevano i ritmi del donatore…
Ho inoltre appreso che l'uso della melatonina per il miglioramento del sonno non è ancora del tutto chiaro benché sia stato constatato un certo beneficio del suo impiego nei sintomi per il jet lag e per alcuni casi di insonnia negli anziani. Io non ho mai provato ad assumere alcunché di naturale o sintetizzato per favorire l'addormentamento e mi domando in un caso del genere quanto sia importante convincersi di ciò a cui si ricorre affinché s'inneschi l'effetto placebo.
Da quanto ho letto ci sono degli individui (e purtroppo mi annovero tra essi) che sono incapaci di adattare i loro cicli di sonno e veglia ai ritmi giornalieri, perciò si vedono costretti a variare continuamente i cicli delle loro attività rispetto alla luce del giorno. In un moto di sommo rigore mi chiedo quanto la volontà possa contenere i limiti suddetti e nel mio caso credo che abbia un certo margine d'azione. Mi sento nel pieno delle mie forze e creativo al massimo grado quando mi sveglio attorno alle due di notte e vado a letto nel tardo pomeriggio, ma non riesco sempre a mantenere questi orari e so per esperienza personale quanto sia debilitante la privazione di sonno. Ci sono tante variabili da tenere in considerazione a questo riguardo, non ultime quelle ambientali e i tanti stimoli che rendono incerto l'inizio del riposo: ed è proprio in virtù di questa considerazione che mi sono appena interrogato (almeno per quanto mi riguarda) su quale peso abbia il comportamento nella regolazione dei ritmi circadiani.
In un mio soggiorno in mezzo all'Oceano Pacifico mi sono adattato presto e spontaneamente ai ritmi del sole e suppongo che ciò si sia verificato per il cambiamento delle variabili ambientali che a loro volta hanno influito sulla mia condotta. Non so se a livello genetico (a dire il vero non l'ho colto dalle mie letture) vi possa essere un'incapacità addirittura invalidante di adattarsi ai ritmi del giorno, ma di sicuro non è il mio caso e ammesso pure che in me vi sia della predisposizione in tal senso, di sicuro non lo è in una misura che non possa essere corretta dalla disciplina.
Vorrei tanto che fossi in grado di addormentarmi a comando e chissà che un domani la natura della mia specie non si evolva per favorire una funzione del genere.

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8
Lug

Dalle intricate trame dell’acido desossiribonucleico

Pubblicato venerdì 8 Luglio 2011 alle 11:17 da Francesco

Recentemente ho letto un capitolo che riguarda le influenze genetiche e ambientali sullo sviluppo mentale. Ho appreso le due funzioni dei geni: quella di matrice e quella di trascrizione. La prima concerne la replicazione dei geni, la seconda invece è volta alla produzione di proteine.
Ogni cellula possiede tutti i geni di un individuo, ma questi originano soltanto una piccola parte del campionario proteico a seconda dei siti in cui operano. L’ambiente influisce sui quei processi fisiologici che regolano la trasformazione del genotipo in fenotipo. Un esempio su questo punto è dato dalla memoria, difatti i ricordi a lungo termine causano dei cambiamenti fisici nelle cellule nervose. Nel libro, per esemplificare il ruolo dell’ambiente nello sviluppo mentale, sono trattate le differenze sessuali. Tra maschio e femmina l’unica differenza genetica è un cromosoma, però in molte culture viene sottolineata con forza. Il modello del corpo umano è femminile e soltanto il fattore di determinazione testicolare fa in modo che in luogo di un’ovaia si generi un testicolo. In ambo i sessi si trovano i recettori per il testosterone, ma quest’ultimo viene secreto in misura maggiore nei maschi. Il testosterone deve prima essere convertito per agire sulle cellule così da determinare i cambiamenti anatomici, perciò necessità di un enzima che corrisponde al nome di 5-alfa-reduttasi. Qualora la quantità dell’enzima citato poc’anzi dovesse subire delle riduzioni, il corpo sarà meno soggetto alla mascolinizzazione. Nel libro non viene descritto, però immagino che in questi processi si giochino anche i caratteri dell’ermafroditismo, difatti come esempio è riportato un test di controllo che introdusse il Comitato Olimpico Internazionale per assicurarsi che atleti maschi non gareggiassero con le atlete: la mia mente è andata al caso delle Olimpiadi di Berlino che vide protagonista Caster Semenya.
Il testosterone ha un ruolo anche nelle differenze sessuali del cervello, tuttavia anche in questa circostanza deve prima subire una conversione e per diventare estrogeno (un ormone ovarico che tuttavia si occupa anche della mascolinizzazione del cervello) ha bisogno di un enzima che si chiama aromatasi. Anche la quantità di questo a causa d’influenze ambientali può ridursi e lasciare un cervello femminile in un corpo maschile. Pare che non siano lecite le semplificazioni per stabilire l’orientamento sessuale, però, ad esempio, lo stress prenatale può determinare un eccesso di testosterone e impedire ai feti maschi di mascolinizzarsi. Esperimenti di laboratorio sui ratti hanno in parte confermato il ruolo dello stress in questo senso. Un altro esempio, sugli esseri umani, è quello legato all’incidenza dell’omosessualità in Germania. Prendendo in esame il periodo prima della Seconda Guerra Mondiale, quello coevo e immediatamente successivo, e infine un periodo distante dal dopoguerra, emerse che in proporzione il numero maggiore di omosessuali fu quello a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, a riprova del ruolo dello stress materno nell’orientamento sessuale. L’argomento non si riduce a questo ed è più ampio, però a mio avviso quanto ho riportato fino a qui offre un taglio interessante.

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14
Giu

Sogni et similia

Pubblicato martedì 14 Giugno 2011 alle 15:37 da Francesco

Da quanto ho letto i sogni  sono piuttosto simili alle psicosi, perciò la loro interpretazione può risultare utile nella spiegazione delle malattie mentali. In passato l’attività onirica veniva fatta combaciare con la fase REM, ma in seguito questa sovrapposizione si è dimostrata inesatta e altrettanto erronea è risultata una teoria in base alla quale i sogni non avrebbero una matrice motivazionale, tanto da risultare “schiuma” secondo un’espressione adottata da Freud per tale concezione che egli, ovviamente, non sposava.
Mi ha sorpreso la regolarità con cui la fase REM insorge, ovvero circa ogni novanta minuti per mezzo dell’acetilcolina che lascia il posto alla serotonina e alla norepinefrina nel momento in cui questi neurotrasmettitori attivano la fase non-REM. Ho trovato altresì interessante scoprire che la gerarchia delle zone visive durante l’attività onirica s’inverte del tutto rispetto al periodo di veglia, difatti, ad esempio, un danno all’area visiva primaria causa la cecità corticale, ma ciò non impedisce ai non vedenti di esperire la vista durante i sogni. Ci sono altri esempi di questo tipo che sottolineano la relazione inversa a cui ho accennato, ma non ho bisogno di elencarne altri in questo appunto il cui scopo principale è quello di consolidare un po’ quanto ho appreso. Voglio concludere con il ruolo delle droghe in questo contesto. Da quanto ho letto la cocaina e le amfetamine intervengono sul sistema dopaminergico e gli effetti differiscono a seconda delle dosi assunte. Un quantitativo ingente delle sostanze suddette può produrre piscosi, tuttavia reazioni analoghe possono innescarsi anche per mezzo di un farmaco per il morbo di Parkinson, il cosiddetto L-dopa. Sono fermamente convinto che compromettere la propria lucidità sia una scelta banale e idiotica, perciò conoscere qualcosa in più sulle dinamiche legate a determinate sostanze mi dà modo di trovare ancor più banali le relative tossicodipendenze.

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25
Mag

I tipi di memoria, l’ippocampo, l’intuizione…

Pubblicato mercoledì 25 Maggio 2011 alle 01:39 da Francesco

Da quanto ho appreso, la memoria può essere di tre tipi: semantica, procedurale ed episodica. Nella prima sono stivate quelle informazioni che con doverose virgolette si possono etichettare come “oggettive”: queste comprendono ad esempio le regole grammaticali e le leggi fisiche che vengono apprese durante l’interazione con il mondo.
La memoria procedurale invece riguarda le capacità motorie, perciò contiene le informazioni che determinano la coordinazione dei movimenti di routine e quelle abilità che s’imprimono talmente a fondo da non sembrare neanche delle procedure riattivabili all’uopo. Insomma, in questo tipo di memoria la ripetizione incide la prassi. Nel libro da cui ho appreso queste nozioni è riportato un aforisma divertente a proposito dei contenuti della memoria procedurale, perciò io a mia volta lo riporto tra queste righe: “Difficili da apprendere e difficili da dimenticare”.
Per delineare efficacemente le differenze tra memoria semantica e memoria procedurale il testo propone di prendere in esame la differenza che intercorre tra la competenza di un individuo che pratica un determinato sport e la conoscenza astratta che un altro individuo ha di quella stessa attività. Devo appuntare qualche altra parola sulla memoria procedurale. Quest’ultima agisce in maniera implicita e ad esempio, per esperienza diretta, posso confermare che quando uno si trovi a riflettere sull’esecuzione dei propri movimenti questa possa risentirne negativamente. Nonostante ancora embrionale, mi ha assai affascinato l’ipotesi secondo la quale certe reazioni emozionali di tipo automatico funzionerebbero come memorie procedurali.
I ricordi autobiografici sottostanno alla memoria episodica e anatomicamente questo terzo tipo di memoria chiama in causa l’ippocampo. Il contenuto della struttura summenzionata prevede che il passato venga risperimentato ed esige quindi che un determinato evento venga rivissuto affinché diventi cosciente. Alla luce di ciò, per quanto m’è dato comprendere, tutte quelle che gli psicoterapeuti chiamano memorie inconsce in realtà presenterebbero soltanto delle somiglianze con la realtà degli eventi passati che invece viene loro attribuita.
Ho appreso ulteriormente come gli esseri umani spesso siano in balìa di influenze inconsapevoli. La memoria a lungo termine contiene e segreta le fonti che condizionano le convinzioni, perciò in questo caso la memoria episodica ne resta fuori poiché sua prerogativa è la consapevolezza. Sempre in merito alla memoria, ho letto che alcuni ricordi non possono essere recuperati poiché in origine non sono stati codificati in una forma accettabile dalla memoria episodica.
Tra le patologie legate ai problemi mnemonici mi ha colpito la cosiddetta psicosi di Korsakoff che prevede un assemblaggio improprio dei ricordi dell’individuo. Questa patologia spesso è dovuta all’alcolismo cronico e alla carenza di vitamina B che è strettamente correlata all’abuso di alcolici. La sindrome di Korsakoff negli adulti presenta somiglianze con le reminiscenze dei bambini d’età inferiore ai due anni, periodo durante cui la corteccia frontale e l’ippocampo non hanno ancora raggiunto un determinato sviluppo. Qua è possibile collegare il concetto di rimozione di Freud alla difficoltà di recupero delle memorie infantili a causa di come queste vengono registrate in un primo tempo e di come poi si cerchi di rievocarle successivamente in una forma assai diversa. I ricordi rimossi pur non riuscendo ad affiorare nella memoria episodica continuerebbero a influenzare il comportamento tramite gli altri due tipi di memoria, ovvero quella procedurale e quella semantica, con tutti i condizionamenti che ne derivano sotto la soglia della coscienza…
Infine voglio annotare due righe sul test del gioco d’azzardo dello Iowa. Da questa prova sono emersi dati interessanti. Due gruppi di partecipanti sono stati chiamati a scegliere due mazzi tra i quattro disponibili per giocare a carte. Due mazzi consentivano vincite ingenti e perdite della medesima portata, mentre gli altri due mazzi permettevano di vincere cifre modeste a fronte di perdite trascurabili, inoltre a differenza dei primi garantivano un guadagno a lungo termine.
Tutti i partecipanti hanno cominciato con i primi mazzi, ma gli individui sani dopo poco hanno optato per i secondi e tra questi v’erano anche giocatori d’azzardo accaniti. I partecipanti affetti da problemi neurologici invece hanno insistito sui primi mazzi.
Da questo esperimento s’è evinto che vi è un avvertimento emotivo che i pazienti neurologici con determinate lesioni riescono ad avvertire soltanto in ritardo, ovvero quando hanno già compiuto la loro scelta: in costoro viene meno la capacità di predire il risultato delle loro azioni.
Dai risultati del test suddetto è possibile notare come determinate scelte s’affidino all’intuizione laddove pare che la razionalità sia insufficiente. In realtà alcune decisioni vengono prese dalla sinergia delle informazioni cognitive e di quelle affettive. Tutto ciò seduce la mia curiosità.

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16
Mag

Ormoni, panico, sogni, memoria…

Pubblicato lunedì 16 Maggio 2011 alle 23:28 da Francesco

Nell’ambito delle emozioni di base mi ha incuriosito il sistema del panico a causa del suo legame con il comportamento materno. Quando la donna è puerpera aumentano i livelli di ossitocina e prolattina, e l’incremento di questi ormoni rafforza il rapporto tra la madre e il nascituro.
Pare che l’ossitocina svolga un ruolo di rilevo nello sviluppo dell’empatia e dell’autostima, perciò gode anche del nome di “ormone della fiducia”: io suppongo di secernerne quantità industriali. Non ho trovato granché per quanto concerne la prolattina nell’uomo, ma sembra che alti livelli di questo ormone nei maschi indichino un abbassamento del testosterone nel sangue e un calo della libido. Immagino che nel mio caso i valori siano nella norma poiché la mia masturbazione è regolare. Ho anche notato che l’ossitocina viene adoperata nei casi di autismo per migliorare la capacità relazionale dei soggetti affetti da questa patologia, tuttavia trovo sconvolgente il fatto di condizionare l’equilibrio d’un individuo attraverso delle somministrazioni endovenose o nasali. Certe volte penso che un ricorso saggio all’eugenetica (quindi nulla a che vedere con la follia dei nazisti) potrebbe dare a tutti una buona salute di base, eliminando quasi del tutto gli svantaggi con i quali certuni purtroppo si trovano a combattere ancor prima d’emettere i primi vagiti.
Mi sento molto fortunato ad essere nato sano, tuttavia non dovrei mai darlo per scontato. Mai. Addentrandomi superficialmente nei meccanismi della memoria ho incontrato una tesi sui sogni che mi ha fatto sorridere. Secondo due studiosi (Crick e Mitchison) il mondo onirico è composto da spazzatura mnemonica, ovvero fatti di scarso rilievo che l’esperienza del sogno mostrerebbe nel loro transito verso l’oblio. Questa prospettiva suscita in me un po’ d’interesse, perciò conto di approfondirla in un secondo momento.
Infine devo ricordarmi che l’uomo non percepisce il mondo per come questo gli si presenta, ma tende a ricordarlo in base a quanto ha imparato. Solitamente e in larga misura è attribuito alla percezione quanto invece rientra nella sfera delle memoria. A questo proposito, nel libro che sto leggendo è riportato un esperimento in laboratorio che esemplifica quanto scritto poco sopra. Ad un gatto fu condizionata la corteccia visiva nel corso del suo sviluppo in modo che venisse privato di ogni riferimento sull’orizzontalità. In seguito l’animale dinanzi agli ostacoli orizzontali si comportò come se questi non fossero mai esistiti e di conseguenza ci andò a sbattere contro. In merito ad argomenti simili mi è tornato in mente “Waking Life”, una pellicola particolare che a suo tempo suscitò in me vivido interesse e stupore.

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7
Mag

Emozioni evolutive

Pubblicato sabato 7 Maggio 2011 alle 01:15 da Francesco

Se io mi fossi lanciato nella lettura de “Il cervello e il mondo interno” da una base di convinzioni religiose o filosofiche forse avrei finito per prendere in considerazione l’eventualità di suicidarmi. Ritengo che un approccio sbagliato al libro summenzionato possa creare derive materialistiche e disincanto, ma per fortuna io non sono andato incontro né alle une né all’altro e non ho avuto problemi ad accettare la nicchia genotipica delle emozioni di base.
Al momento mi trovo ad affrontare quelle pagine che trattano delle emozioni e dei luoghi in cui queste si originano. Non nego (né d’altro canto potrei) d’aver provato un po’ di disagio quando ho compreso pienamente che le emozioni possono essere accese, spente e modificate con la somministrazione di alcune sostanze, per mezzo di ablazioni chimiche o con interventi chirurgici. Ovviamente non mi sono stupito di quello che ho letto poiché ero già a conoscenza di quanto le emozioni siano ascrivibili ai processi neurobiologici, tuttavia mi ha colpito la freddezza di come è stato sottolineato questo rapporto; d’altronde non potevo nemmeno aspettarmi qualcosa di diverso poiché ho tra le mani un testo scientifico, mica “Cime tempestose”.
Le cosiddette “emozioni di base” sono comandate da quattro sistemi e le strutture che questi chiamano in causa si concentrano in una regione cerebrale circoscritta, più precisamente tra le zone superiori e mediali del tronco encefalico. Ho appreso che durante alcuni esperimenti certe cavie animali subordinavano le azioni biologicamente utili all’esecuzione di compiti che, con la tecnica del bastone e della carota, permettevano loro di ricevere una stimolazione elettrica del sistema di piacere, sito in gran parte nel prosencefalo basale. Il parallelismo tra le cavie di cui sopra e i tossicodipendenti  è sorto spontaneamente in me, ancor prima che il libro me l’offrisse. Il sottotitolo di questo volume è “Introduzione alle neuroscienze dell’esperienza soggettiva” e lo trovo significativo. La mia formazione autodidattica è prevalentemente umanistica benché di fatto non lo sia secondo certi canoni e forse per questa ragione ho impiegato un po’ di tempo a mettere le mani su determinati testi. Alla mia introspezione sta giovando la trattazione di questi argomenti e sarebbe stato meglio se già in passato me ne fossi interessato con più attenzione.

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28
Apr

La mente, la coscienza e il corpo: triumvirato esistenziale

Pubblicato giovedì 28 Aprile 2011 alle 16:26 da Francesco

Sono un vile perché zucchero il tè verde, ma espio le mie colpe levando le zecche ai miei gatti. Quando Freud affermò che la coscienza è solo una proprietà della mente egli ricevette molte critiche dai luminari del suo tempo, però in seguito la sua posizione fu ripresa da vari neurologi. Secondo quanto ho letto, la coscienza si originerebbe nel tronco encefalico e riguarderebbe una percentuale assai ridotta delle azioni umane che in larga parte (per oltre il novanta percento) si svolgerebbero inconsciamente.
Sono stato un po’ spiazzato dallo stretto legame che pare intercorrere tra l’evoluzione biologica e la coscienza, però non sono riuscito a convincermi che tale rapporto non sussista. Sono stato colpito anche dalla questione dell’esperienza unificata della coscienza, difatti gli stimoli sui quali si poggia quest’ultima seguono percorsi differenti nel cervello e non è chiaro come poi risultino inscindibili all’individuo. Per chiarire questo punto alcuni studiosi hanno cercato di identificare le strutture che accolgono ed elaborano gli stimoli delle percezioni, io tuttavia sono rimasto più affascinato dall’ipotesi dei quaranta hertz che declina la questione in termini temporali. Secondo l’ipotesi summenzionata, e stando a quanto ho letto limitatamente all’esperienza visiva, vi sono cellule corticali che effettuano scariche sincronizzate con un ritmo di quaranta hertz, perciò ogni secondo di coscienza sarebbe suddiviso in quaranta momenti che si alternano in modo talmente rapido da garantire alla coscienza la sua parvenza continuativa e unitaria. Durante la lettura di questo argomento mi è venuta in mente una citazione olistica di Aristotele: “Il tutto è maggiore della somma delle sue parti”.
Ho esteso il mio sorriso quando mi sono imbattuto sul ruolo che gioca l’intelligenza nella mente. Attraverso alcuni esempi che prendevano in esame l’intelligenza artificiale per il test di Turing è emerso chiaramente come non sia possibile riprodurre anche una mente, difatti un software su un computer non ha consapevolezza di sé e non può generare il bagaglio emotivo che risulta proprio di un individuo. Tutto ciò avalla la tesi secondo la quale la coscienza è legata al tronco encefalico che a sua volta è in stretto collegamento con i visceri del corpo, perciò anche a me pare plausibile che la presenza di quest’ultimo determini la coscienza. Quanto ho appreso mi è chiaro, o almeno credo, e da profano non ho ragione di obiettare qualcosa, però io credo che sarebbe un errore considerare tutto ciò come bieco materialismo.
Prima di affrontare l’argomento in una lettura recente, non avevo mai considerato la possibilità che un comportamento cosiddetto “intelligente” potesse verificarsi anche laddove mancasse la coscienza. A riprova di quanto appena scritto vi sono casi di pazienti neurologici in cui sono state riscontrate delle capacità cognitive nonostante queste non fossero accompagnate affatto dall’esperienza cosciente. Da questo punto si genera una domanda interessante sul ruolo e il fine della coscienza, difatti se i comportamenti intelligenti sono possibili anche in sua assenza allora sorge spontaneamente la necessità di spiegare il motivo della sua esistenza.
A costo di saltare di palo in frasca (ma non credo di correre questo rischio) mi sono imbattuto in un’intervista a Michelle Thomasson, moglie di Henri che diffuse in Italia il pensiero di Gurdjieff. Costei afferma delle cose interessanti in cui mi rivedo e parte da considerazioni sull’estetica per estenderle coerentemente fino a questioni esistenziali: notevoli gli ultimi tre minuti e mezzo.

“La ricerca del conforto e del non-sforzo ci ha condotto ad essere completamente schiavi […] la nostra propria vita è passata al servizio della materia”
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25
Apr

Neuropsicoanalisi

Pubblicato lunedì 25 Aprile 2011 alle 20:05 da Francesco

Da circa una settimana mi sono immerso nella lettura de “Il cervello e il mondo interno” di Mark Solms e Oliver Turnbull. Questo testo costituisce un punto d’incontro tra le neuroscienze e la psicoanalisi, ma forse sarebbe più opportuno definirlo come un ricongiungimento poiché Freud riconobbe i limiti di cui soffriva la neurologia al suo tempo e l’abbandonò per battere una strada che ancor oggi certuni (specialmente nel mondo scientifico) fanno oggetto di ludibrio.
Un paio di anni fa ho letto un manuale di neuroscienze, però ne ho ricavato un’infarinatura che soltanto adesso mi risulta meno confusionaria, grazie all’integrazione con la lettura del libro suddetto, e di cui, in ogni caso, conservo pochi concetti di base. Temi quali la neurofisiologia, la neurochimica e la psicofarmacologia mi attraggono, tuttavia non intendo profondere sforzi per studiare compiutamente queste branche del sapere perché, oltre a dubitare d’esserne in grado, posso limitarmi ad attingere quanto mi è necessario e indirizzare altrove le mie energie.
Il tentativo di mappare la coscienza nelle aree del cervello è affascinante e, con un approccio un po’ naif, mi domando se i progressi in questa direzione possano portare l’uomo a svelare cosa si celi dietro (o dopo) la perdita della coscienza nel senso tanatologico del termine.
Di difficile accettazione e di stampo materialistico, voglio annotare una citazione di Francis Crick che tuttavia dal basso della mia ignoranza non sottoscrivo affatto: “Tu, con le tue gioie, i tuoi dolori, i tuoi ricordi e le tue ambizioni, non sei altro che la risultante del comportamento di una miriade di cellule nervose e delle molecole in esse contenute”.
Sulla relazione tra cervello e mente la filosofia ha creato varie scuole di pensiero (eh, penso che non vi sia espressione più adatta in questo caso) e le più diffuse sono sintetizzate nelle pagine de “Il cervello e il mondo interno”. Tra le varie teorie sono stato colpito da quella del monismo dal duplice aspetto percettivo. Secondo questa concezione un essere umano non è in grado di conoscere la materia di cui è composto senza prima rappresentarsela attraverso le percezioni. Di conseguenza, secondo il monismo dal duplice aspetto percettivo non è possibile conseguire una visione diretta della materia della mente, bensì solo rappresentazioni figurate: dei modelli. Stando a quanto ho letto e capito, la mente appare fisica quando viene osservata dall’esterno e assume un aspetto “mentale” da una prospettiva interna, rendendola perciò una produzione delle percezioni e ciò sottolinea una sorta di conflitto d’interessi dove l’osservatore della mente è anche il mezzo attraverso cui la suddetta viene osservata. Da qui (o meglio, anche da qui) continua l’indagine sul legame che correla la soggettività di un individuo ai processi del cerebro.

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