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La realtà dell’essere di Jeanne de Salzmann

Pubblicato domenica 28 Luglio 2019 alle 00:12 da Francesco

Agli insegnamenti di Gurdjieff ho sempre riservato un’attenzione particolare (e questa espressione può strappare un sorriso a chi conosca l’argomento), difatti ne ho sempre riconosciuto ed esperito la validità per quanto finora sia stato nelle mie corde.
Parecchi anni fa fui fortemente influenzato dalla lettura di ”Frammenti di un insegnamento sconosciuto”, un libro di Ouspensky, anch’esso basato sul sistema del maestro armeno: quelle pagine di certo smossero qualcosa in me sebbene ancora a un livello grezzo e dozzinale.
Jeanne de Salzmann è stata una grande allieva di Gurdjieff e ho recepito il suo testo alla stregua di una interessante raccolta di appunti. Com’era giusto che fosse non vi ho trovato nulla di inedito poiché i concetti chiave rimangono sempre gli stessi: la legge del sette, in cui il lavoro su di sé è paragonato a un’ottava musicale con la difficoltà di superare i due intervalli tra mi e fa così come tra si e do, poi la legge del tre, secondo cui ogni fenomeno scaturisce dalla combinazione di una forza affermativa, una negativa e una neutralizzante; il ricordo di sé come pratica della presenza affinché automatismi e reazioni non tengano l’individuo addormentato, e lo sviluppo di un centro di gravità permanente (appannaggio dell’uomo cosiddetto numero quattro) con cui cominciare a separare quanto è reale da ciò che invece è immaginario.
La lotta contro l’identificazione, la sofferenza volontaria come unico principio attivo per una certa trasformazione (benché poi l’uomo cosciente non soffra più) e l’intensificazione dei centri inferiori quale via regia per un contatto con quelli superiori: queste idee importanti mi erano altresì già note, tanto quanto la necessità di una solitudine autentica e di una morte a quanto è conosciuto come precondizioni per un vuoto che non dev’essere riempito.
In realtà (si fa per dire, o per scrivere) non credo molto nella forza discorsiva di un tale approccio, difatti vedo quest’ultimo come un male necessario per consentire, a chi se ne dimostri in grado, di prendere l’abbrivio sul piano dell’esperienza; d’altro canto la stessa de Salzmann ricorda come l’attenzione arrivi quando sia chiamata da un sentimento di necessità e quanto la vita ordinaria remi contro la conoscenza di possibilità più alte.

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