30
Gen

La bandiera adorna di stelle

Pubblicato lunedì 30 Gennaio 2017 alle 05:25 da Francesco

Al di là del mio microcosmo e dei suoi moti introspettivi c’è un mondo di cui, volente o nolente, faccio parte.
La mia Weltanschauung planetaria è tutta racchiusa in questo auspicio stonato e fuori tempo, ma comunque sincero.

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24
Gen

Perseo con la testa di Medusa, o la mia verginità

Pubblicato martedì 24 Gennaio 2017 alle 14:44 da Francesco

La premessa è una frase di un film di Ingmar Bergman, “Il silenzio”: “È assurdo prendere in giro la natura perché dopo si vendica”. Parto da qui per rinfrescare due note sulla mia verginità. Certe cose le scrivo perché mi piace farlo e non ne nego lo spirito autoreferenziale, ma ne tengo traccia anche per avere delle risposte già articolate da servire all’uopo.
Quella dell’immagine è una copia in scala di “Perseo con la testa di Medusa” che custodisco gelosamente nella mia stanza rossa. È una riproduzione che vale poche decine d’euro, però io ne apprezzo il valore simbolico, nel senso junghiano del termine, ed è per questo motivo che ogni tanto la contemplo con delle occhiate fugaci.
L’opera originale è del Cellini e nel corso degli anni mi ci sono identificato fortemente per il significato di cui l’ho ammantata, ma d’altronde il mito di Perseo si presta a forzature di questo genere.
Per me la decapitazione della Gorgone è la vittoria sulle pulsioni, quindi i serpenti della chioma di Medusa mi appaiono come delle tentazioni che tolgono più di quanto sappiano dare.
Non ricorro alla spada per vincere la creatura, ma alla mia verginità: anch’essa ha una valenza fallica e l’acquisisce nel momento stesso in cui, per paradosso, supera in virilità e libertà ogni ordine dal basso a cui altri non si sanno sottrarre.
La libido è come il fumo durante un incendio e trova sempre un modo per manifestarsi, perciò la masturbazione è un metodo per controllarla e io vi ricorro regolarmente: se vi fosse qualcosa di analogo per gli aspetti platonici di un legame allora potrei rivendicare davvero un’autarchia emotiva, ma il tutto resta più della somma delle sue parti.
Conferisco il mio carattere virgineo alla figura di Perseo anche in ragione delle sembianze efebiche con cui il Cellini (a mio parere) lo ha rappresentato, inoltre trovo che la sua sia un’espressione quasi irenica nonostante egli tenga in mano la testa di Medusa e ne calpesti il cadavere.
La vittoria non è soltanto quella sulle pietrificazioni pulsionali, ovvero l’elusione di quei rapporti che potrebbero soltanto rubarmi pezzi d’Io in cambio di qualche modesto coito, ma pure quella di un’integrazione della vita pulsionale in un ambito che la nobiliti e non me la renda nociva.
Anche se non ho mai avuto legami di alcun genere, talora ho provato a stabilirne d’eterni con le rare fusioni di beltade e temperamento verso cui ho nutrito una sincera attrazione.
Un’ulteriore vittoria per me è stata quella di non ripiegare mai né sulla pochezza della carne di passaggio né su amicizie femminili: nel mio caso non può esserci amplesso senza una piena attrazione né amicizia qualora invece l’attrazione ci sia.
Sono manicheo per necessità, ma invero la mia condizione virginea non ha connotati religiosi poiché il mio ateismo è manifesto sin dalla più tenera età. Se fossi musulmano forse non vorrei settantadue vergini nell’aldilà, ma preferirei una menade navigata: insomma, qualora dovessi convertirmi a qualcosa non sarà all’Islam, ma al culto di Dioniso.
Riprendo la citazione con cui ho esordito: “È assurdo prendere in giro la natura perché dopo si vendica”. Questo vale tanto in chi neghi del tutto la propria sessualità quanto in chi l’assecondi senza calibrarla sulla propria indole, ma rispondendo alle istanze più basse poiché incapace di mediarle a suo favore, foss’anche con un accento parossistico su una legittima licenziosità.
Per qualcuno ciò è inconcepibile, ma io capisco una simile impossibilità poiché taluni per comprendere tutto questo dovrebbero anzitutto assistere al crollo verticale dei loro mondi.
A ognuno il suo.

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22
Gen

Una domenica notte

Pubblicato domenica 22 Gennaio 2017 alle 02:01 da Francesco

In questo periodo, all’imbrunire, ogni tanto alzo lo sguardo verso occidente e là, sul proscenio celeste, vedo Venere che non ho mai avuto modo di osservare ad altezza d’uomo.
Ci sono delle sere in cui mi sento un vagabondo del Dharma, come in un romanzo di Kerouac, e mi aggiro in dedali di fugaci riflessioni presso i quali trovo un po’ di tutto. Non mi piace lasciare le cose incompiute a meno che l’incompiutezza non faccia parte del loro completamento, perciò non tengo in sospeso la spada di Damocle né i discorsi che svolgo tra me e me.
Mi chiedo se io riesca davvero a inviare dei segnali con il solo ausilio della mente, in maniera del tutto inconsapevole, ma non confido che ci sia vita al di fuori della mia soggettività.
Vivo in un’epoca che richiede il celere innalzamento di muri invalicabili, ciò vogliono gli archetipi ciclici che parlano per mezzo dell’inconscio collettivo, quindi io non posso certo pretendere di stabilire dei ponti radio o anche soltanto una passerella sul fiume di Eràclito: chi può viaggia su certe lunghezze d’onda, chi non può si gode le proprie interferenze.
Sul mio orizzonte vuoto riesco ancora a scoprire dei momenti di forte commozione che in realtà non hanno nulla d’emotivo, ma queste occasionali scariche di vita si originano allorquando io sia più (con)centrato su me stesso: esse non dipendono da me e le reputo prodromiche dello stato anzidetto. Ecco perché fatico quando mi apro a qualcuno: in casi del genere scombino un difficile assetto il cui ripristino, a seguito di un eventuale fallimento (pressoché matematico), richiede un certo investimento di tempo e di energie; forse l’assetto in questione si evolve proprio in virtù del suo continuo perire e ricostituirsi. Se un giorno dovessi trovare la quadratura del cerchio tra me e un triangolo festeggerò con una Sprite in lattina, ma per adesso non mi pongo neanche il problema in quanto è esso che non mi si para davanti.

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18
Gen

Brevi sdoppiamenti notturni

Pubblicato mercoledì 18 Gennaio 2017 alle 00:11 da Francesco

Le folate di vento degli ultimi giorni non hanno spazzato via certi pensieri che albergano in me e di cui, in fine dei conti, non subisco poi tanto l’invadenza. Non so se la notte porti consiglio, ma sospetto che essa contrabbandi paure e tristezze. Il mio è un sentiero solitario, però ogni tanto mi volto indietro perché so che c’è sempre qualcuno e non mi sorprenderei se un giorno dovessi trovarmelo di fronte, laddove forse già mi aspetta.
Il tempo passa che è un piacere, affermerei se volessi tentare un po’ d’ironia, ma onestamente non posso sostenere che per me trascorra troppo male. Sono il mio solo riferimento e qualche notte non basto a me stesso, perciò esco e mi accompagno alla mia ombra, quella che in casa è l’ombra di stessa: a volte non è soltanto una questione di luce…
Talora, in maniera del tutto ingiustificata, conferisco al futuro delle valenze angosciose che non merita, tuttavia queste indebite proiezioni sono sempre il sintomo di un malessere passeggero e non attecchiscono mai per lungo tempo. Ogni tanto la stanchezza parla o scrive a nome mio e in alcune occasioni neanche la smentisco, ma lascio quest’onere agli eventi.
Mi fa bene scrivere, perché è come se mi sdoppiassi e trovassi in una mia copia quello che mi manca. Quando scrivo mi sembra di parlare con qualcuno che sia in grado di capirmi così come io capisco lui, ma se la cosa non mi riguardasse direttamente e la dovessi giudicare da fuori allora direi: “E grazie al cazzo che ti sembra così”. Non scado in fenomeni di dissociazione, bensì uso i miei moti introspettivi per crearmi un mondo di relazioni che mi manca in toto: questo è anche un modo per tenere vivo il contatto con la realtà e in allenamento la capacità comunicativa.
Non importa che io scriva qualcosa di particolare, bensì mi basta dare un po’ di senso a quelle frasi sconnesse di cui i pensieri sanno ribollire durante l’attesa di un autobus, la coda a uno sportello, l’assente presenza a un evento mondano e così via. Via, via per sempre.

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14
Gen

L’essere e il nulla di Jean-Paul Sartre

Pubblicato sabato 14 Gennaio 2017 alle 22:21 da Francesco

Più o meno ho impiegato un mese e mezzo per districarmi tra le settecento pagine de L’essere e il nulla di Sartre. Ammetto che quest’ultima lettura mi è stata facilitata da quella precedente di Essere e tempo di Heidegger, difatti tra le due vi sono molteplici punti di contatto.
A mio avviso il passo in più di Sartre vale l’investimento di tempo che ne richiede la sua analisi, ma per me questo non si traduce in un’acritica accoglienza delle sue dissertazioni. Apprezzo la ripartizione dell’essere in per-sé e in-sé nella misura in cui questa definisce la coscienza quale potenza “nullificatrice” in relazione alle cose del mondo: alle seconde viene sottratta la loro essenza per dare modo alla prima di rivestirle con i propri significati.
Da queste premesse, apparentemente facili e immediate, scaturisce un ginepraio ontologico che nonostante tutto ho trovato meno ostico di quello proposto in Essere e tempo, ma in parte ascrivo una tale differenza alla sbrigatività con cui Sartre esaurisce certi argomenti: egli non mi convince nella confutazione della morte come la possibilità più propria (con riferimento a Heidegger). A non soddisfarmi v’è poi la questione della nascita (a pagina 631) in quanto Sartre nega che valga un’espressione come “io non ho domandato di nascere” e la deride con una spiegazione di poche righe che a suo dire rimanda alla "fatticità": senza vedervi contraddizione ho comunque cercato di trovare (infruttuosamente) un nesso tra quest’idea e l’accento che egli pone su come l’essere sia sì libero, ma non libero di essere tale. Può darsi che abbia perso qualche pezzo per strada e non escludo che mi manchi un’adeguata elasticità mentale, ma per me le suddette questioni restano delle zone d’ombra e sanno d’incompiuto, quantomeno nelle pagine de L’essere e il nulla.
Onestamente non ho un retroterra culturale che mi consenta d’immergermi nell’ontologia, non ne sono all’altezza e lo riconosco, però ne ho lambito i confini affinché potessi farmi un’idea della tensione intellettuale che ha indotto certuni a occuparsene.

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10
Gen

L’arte d’invecchiare

Pubblicato martedì 10 Gennaio 2017 alle 05:56 da Francesco

Per me è ancora presto per affrontare l’idea d’invecchiare, difatti benché non sia giovanissimo sono ancora giovane, specie in un paese come l’Italia dove, malgrado tutto, l’aspettativa di vita è piuttosto lunga. Qualche volta capita che il mio sguardo noti in lontananza una figura solitaria, fragile, canuta e talora mi sembra che quella visione sia un annuncio del mio futuro.
Ci sono buone probabilità che io passi da solo la mia terza età, proprio come ho trascorso e sto trascorrendo da solo i miei anni migliori, perciò voglio invecchiare bene: anelo a che il mio vivere danzi con il tempo in un armonioso ballo di fine estate. So che posso farcela e mi serve soltanto un altro po’ di tempo per convincermene del tutto. Ovviamente tali parole dànno per scontato che io non muoia prematuramente, ma la realtà quotidiana e qualsiasi tipo di passato ricordano come un simile assunto possa rivelarsi un azzardo. Non demonizzo la società occidentale e vi vedo molto di buono, ma non nego che possa essere più facile affrontare già la sola idea della vecchiaia con un altro retroterra culturale. Nei confini del possibile ed entro i savi paletti della spontaneità, io cerco di trarre dallo scibile umano quanto può facilitarmi l’esistenza nei termini di una sua opportuna interpretazione. Talora non sono le cose in sé a cagionare un peso erculeo ed è invece la loro percezione che può gravare oltremodo l’individuo, perciò tento di non farmi ingannare da questo trucco di cui la mente si rivela al contempo tanto artefice quanto vittima.
Ho visto con i miei occhi e ho percepito con il mio essere, per così dire, persone di una certa età che in ogni movimento, in ogni parola, persino nelle sporadiche distrazioni, dimostravano quella che in certi contesti si chiama “presenza”. Forse per taluni un invecchiamento esemplare è un percorso naturale, mentre altri devono correggersi in corso d’opera per armonizzarsi col reale e, ammesso che tale semplificazione abbia fondamento, non so ancora dire a quale dei due filoni io appartenga: mi auguro soltanto che l’esito sia lo stesso.

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7
Gen

La mia top ten per il 2016

Pubblicato sabato 7 Gennaio 2017 alle 05:51 da Francesco

Nell’anno che è volto al termine ho riempito molti silenzi con della buona musica.
Di seguito riporto la mia volubile top ten.

1) James Senese – ‘O Sanghe – 2016

Ho ascoltato molto questo album di cui possiedo il vinile. Un groove continuo, avvolgente e coinvolgente, con stupendi testi in dialetto. Adoro smodatamente i Napoli Centrale, ma anche la carriera solista di Senese che per questo suo disco si è ritrovato con Franco Del Prete.
"Ch’ Jurnata" è il mio pezzo preferito, anzi, un vero e proprio manifesto.

2) Anderson / Stolt – Invention Of Knowledge – 2016

Due icone del progressive rock internazionale. Certe volte le vie di mezzo sembrano dei mesti compromessi, ma in questo caso ci si trova a metà strada tra gli Yes e The Flower Kings. Disco stupendo, onirico, etereo.  L’intro di "Chase And Harmony" è una delle cose più belle che abbia mai sentito e raggiunge il suo climax quando entra la voce di Anderson: quanta magnificenza.

3) Fates Warning – Theories Of Flight – 2016

Sono un ascoltatore dei Fates Warning dalla tarda adolescenza e ho apprezzato moltissimo il loro ultimo sforzo, una vera certezza nel panorama del progressive metal. La voce di Ray Alder e la chitarra di Jim Matheos mostrano ancora le loro peculiarità. Qui "Seven Stars" è la mia traccia prediletta.

4) Sam Dees – The Show Must Go On – 1975

Ho scoperto per caso questo disco e me ne sono innamorato perdutamente: si tratta di un album di soul, in senso letterale. È piuttosto difficile che un platter del genere riesca a catturarmi e a coinvolgermi emotivamente, ma in questo caso Sam Dees ci riesce già con la sola "Come Back Strong".

5) Bronson – Roma Tiger Punk – 2015

Apprezzo i Bronson dal loro primo album benché il loro genere non sia certo quello che prediligo. Privi di particolari virtuosismi, riescono comunque a creare un bel muro di suono su cui veicolano dei testi d’impegno sociale che riesco ad apprezzare senza imbarazzi. Pezzo preferito: "La Strada".

6) Metamorfosi – Purgatorio – 2016

Dopo quarantatré anni dal celebre "Inferno" i Metamorfosi sono riusciti a concludere la trilogia dantesca. Ebbi modo di ascoltare parte di questo disco prima della sua uscita: ciò avvenne in occasione di un raro concerto del gruppo in quel di Roma. Trovo che “Superbi” sia l’episodio più evocativo dell’album.

7) Fantan Mojah – Soul Rasta – 2016

Non sono un grande fruitore di reggae, ma lo apprezzo nella sua veste roots e il disco di Fantan Mojah mi ha trasmesso molta positività nel corso dell’anno, anzi, in alcuni casi è stato proprio un sostegno. "Rasta Got Soul" è il pezzo che mi prende di più.

8) Spettri – 2973 La Nemica Dei Ricordi – 2015

Un’altra bella freccia nel mai pago arco del progressive italiano. È un album magistrale che si lascia ascoltare senza soluzione di continuità dall’inizio alla fine. È un peccato che simili lavori non godano di una maggiore visibilità.

9) Pagan’s Mind – Enigmatic Calling – 2005

L’ennesimo disco che scopro con colpevole ritardo. "Enigmatic Calling" è un grandioso e riuscitissimo sforzo nel non facile campo del progressive metal. Stupendo.

10) Dark Funeral – Where Shadows Forever Reign – 2016

Malgrado il cambio di formazione i Dark Funeral si confermano una certezza granitica nel black metal e questo album ne è l’inconfutabile, oscura ed estrema prova.

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5
Gen

Intelligenza e solitudine

Pubblicato giovedì 5 Gennaio 2017 alle 11:47 da Francesco

Ho letto un articolo sull’edizione online del Daily Mail che riporta uno studio secondo il quale le persone intelligenti tendono a isolarsi. Tra le ipotesi addotte vi è quella per cui a una maggiore socialità corrisponda un minore appagamento della propria vita, però sembra che questo valga soltanto per quanti presentino un certo grado d’intelligenza e, difatti, lo stesso studio sostiene che la partecipazione sociale invece giovi agli individui con un’intelligenza media. Emerge inoltre come le aree più densamente popolate rivelino minori indici di soddisfazione esistenziale.
Trovo interessante l’idea secondo cui possa esserci un gap tra l’evoluzione del genere umano e l’attuale ritmo della vita, in totale contrasto con la cosiddetta teoria della savana, quella per la quale sono ancor oggi validi i criteri in base a cui i primi esseri umani si sentivano soddisfatti.  Non si tratta di uno studio superficiale, infatti è stato sottoposto a una revisione paritaria e ha ottenuto la pubblicazione sul British Journal of Psychology, ma da perfetto profano mi ha indotto a chiedermi come vada intesa l’intelligenza, inoltre mi sono venute in mente delle associazioni spontanee con certe forme di autismo ad alto funzionamento e con la sindrome di Asperger.
Non so se io rientri nel novero di coloro che hanno una spiccata intelligenza o se invece mi sia stato riservato un posto d’onore nel gotha della cretineria, ma, senza escludere una probabile e mediocre via di mezzo, posso testimoniare come abbia provato più volte dell’insofferenza a seguito di assidue frequentazioni; in casi del genere ho sempre percepito la mia presenza in mezzo agli altri come una perdita di tempo: non mi reputavo migliore ed era semplicemente il contesto che non mi apparteneva.
Una delle molteplici ragioni per le quali non ho mai avuto una ragazza è stata la mia incapacità di usarmi violenza per costringermi a stare in contesti a me alieni, ma ciò mi ha anche permesso di sviluppare una notevole vita interiore e un buon grado di introspezione mentre a taluni apparivo come un disadattato.
Il tempo mi ha dato ragione, però adesso mi occorre dell’altro tempo per capire cosa fare di quest’ultima.

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3
Gen

L’irresistibile attrazione della contrarietà

Pubblicato martedì 3 Gennaio 2017 alle 06:42 da Francesco

Navigo su Internet da due decadi esatte, infatti la mia prima connessione risale al terz’ultimo anno dello scorso secolo, perciò ne ho viste di cotte e di crude. In tutto questo tempo mi sono chiesto più volte come mai certuni avvertano l’irrefrenabile bisogno di perdere il loro tempo per cose verso cui millantano un presunto disprezzo, ma la ragione è banale proprio come la natura di simili soggetti e si annida in quel bisogno di reciprocità che è antico quanto l’uomo.
D’altro canto il disprezzo e l’indifferenza non indicano la stesso concetto benché talora possano trovare dei punti d’incontro, perciò l’accanimento contro qualcosa o qualcuno è il modo più facile in cui la summenzionata reciprocità possa concretizzarsi. Esistere per distruggere o dileggiare in quanto sono ostacolate o non altrettanto soddisfacenti altre forme di affermazione dell’Io come l’affetto, la solidarietà o l’amore, ancorché le une non escludano necessariamente la convivenza con le altre: ecco cosa sono certi individui, megalopoli bipolari, degne miniature microcosmiche di quelle che campeggiano sulle carte geografiche. Ovviamente certe nature non hanno a che fare con la densità di popolazione ed è normale che il prototipo in esame possa sbocciare anche in un paesello sperduto, avvolto dalla stessa indifferenza a cui il soggetto in questione non può ambire in quanto gli risulta fuori portata.
Nel corso del tempo io stesso ho avvertito la necessità di inveire gratuitamente contro certuni o di scagliarmi senza scrupoli verso qualcosa, ma sono sempre riuscito ad arrestare la mia idiozia prima che ne ponessi in essere le nefaste conseguenze. Quando io mi sono ritrovato in preda a una volontà così demenziale ho compreso come questa possa essere coercitiva e non conosca altro ostacolo all’infuori di una mente che, almeno in un certo grado, sia padrona di sé.
L’odio, il disprezzo, la rabbia e quanto di simile vi sia, non costituiscono altro che una forma di trofismo, né più né meno dei loro perfetti contrari, perciò è normale che alcuni aberrazioni (tali a giudizio della soggettività di turno) crescano in proporzione all’interesse avuto, a prescindere da quali sfumature assuma quest’interesse: d’altro canto un famoso adagio suggerisce che sia importante parlarne, non importa poi se bene o male.
Non nego che vi siano delle differenze in base ai giudizi di valore, ma queste si manifestano in un secondo tempo e talora, per certi scopi, si rivelano del tutto trascurabili. È alla luce di tutto questo che filtro i contenuti di cui fruisco, quindi non ho la benché minima scusa per scagliare il sasso e amputarmi la mano così da lanciare anch’essa. Faccio in modo che le puttanate (quelle che io reputo tali) non mi compaiano, perciò mi perdo gli illustri pensieri dei miei contatti virtuali, le dissertazioni di certi giornalisti, i filmati di tendenza su qualche famoso network e così via, ma campo bene e aumento a dismisura la qualità delle mie letture. Le mie precauzioni azzerano del tutto o quasi le interazioni virtuali, forse esse inducono a un solipsismo due punto zero, ma non mi sembra che si tratti di un grande prezzo da pagare, anzi, è equo: il nulla per il nulla.

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1
Gen

Fuori e dentro, dentro e fuori

Pubblicato domenica 1 Gennaio 2017 alle 05:48 da Francesco

Non ripongo troppe speranze nel nuovo anno, bensì preferisco stenderle sull’indeterminato filo di un tempo che non sia calendarizzato. Il discorso del presidente della Repubblica non è giunto alle mie orecchie e così posso concedergli il beneficio del dubbio, come un film che io non abbia visto o un libro al quale non mi sia dedicato con un’attenta lettura. Invece dei buoni propositi di qualcuno, ho appreso via etere quanto si siano confermate rapidamente le cattive intenzioni del terrorismo islamico. Nelle calze di certuni invece del carbone la befana dovrebbe mettere un po’ di amianto, però sono sicuro che altri invece dei dolciumi vorrebbero del plutonio. Ho ragione di credere che in Siria i botti non siano stati vietati benché attualmente viga una fragile tregua e la fine dell’anno non corrisponda alla fine della guerra civile.
Mi chiedo ogni inizio quale conclusione presupponga, tuttavia sono consapevole di come spesso la risposta giunga soltanto in itinere e dunque non mi resta che vivere. Mi sforzo di fare del mio meglio con le possibilità che mi si presentano, ma talora le assenze ingiustificate di qualsivoglia occasione mi costringono a fare di necessità virtù, ovvero a raffinare il nulla con la fantasia.
Cerco in tutti i modi di non sprecare il mio tempo libero ancorché io non sia mai libero dal tempo e mi senta ancora in lizza per un posto al sole. Non devo raggiungere un obiettivo particolare e non ho bisogno di realizzarmi agli occhi altrui, però avverto l’urgenza d’infondere una rinnovata quiete alle mie azioni quotidiane. Sono di nuovo in cerca di una tranquillità perduta che in realtà s’è persa da sé perché non è bastata a se stessa. Io mi voglio bene, dal profondo dell’anima, posto che quest’ultima esista o significhi davvero qualcosa.

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