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Del morire

Pubblicato mercoledì 28 Dicembre 2016 alle 18:59 da Francesco

Mi sorprendo di fronte a quanti si sorprendano per la sorpresa di una morte sorprendente, ma il mio è un atteggiamento di tenero disincanto. Forse i decessi illustri ricordano più di altri come ognuno di noi sia anzitutto la propria finitezza. Mi domando se per qualcuno sussista davvero la piena illusione che l’opera sua possa garantirgli una vita dopo la morte, come se per i meriti del suo percorso terrestre ambisse poi da salma a chiedere asilo presso gli altrui ricordi.
Salvo rare eccezioni, la quasi totalità degli esseri umani è destinata alla completa dimenticanza in capo a qualche generazione, ma talora ciò avviene già dalla nascita stessa e molti orfani lo potrebbero confermare se solo qualcuno si ricordasse di loro.
Non ho nulla contro qualsiasi tipo di commemorazione dei defunti, ma per me il due novembre è, appunto, il due novembre; semplicemente mi annoiano certe celebrazioni e io stesso mi auguro di non esserne mai oggetto, benché, invero, il rischio nel mio caso sia pressoché nullo.
Preferirei essere apprezzato da vivo piuttosto che da morto, ancorché io preferirei non essere e basta. Nel caso di una mia morte prematura ho lasciato precise disposizioni, tuttavia so già che queste sarebbero prontamente disattese. Se crepassi relativamente presto vorrei tanto che il mio corpo fosse gettato in mezzo a un campo incolto, cosicché i vermi possano banchettarvi in tutta comodità. Dunque per la mia carne non vorrei né sepoltura né cremazione, ma soltanto l’abbandono alla terra: è questa un’immagine che nella mia mente chiude un cerchio e assume tinte di titanismo romantico. Insomma, una volta decaduto, che l’ex impero dei sensi sia scisso tra i suoi atomi d’idrogeno, azoto, ossigeno, carbonio, in una spartizione simile a quella che era in uso tra i figli dei re Franchi. Sono venuto per poco e, nessuno me ne voglia (circostanza di cui non dubito), spero di non tornare troppo presto su questo pianeta.

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