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Il breve corso della vita

Pubblicato mercoledì 20 Aprile 2016 alle 02:13 da Francesco

Per l'ennesima volta mi ritrovo a scrivere a notte fonda. Credo che il buio avvolga quello che il giorno nasconde e viceversa. Devo ancora comprendere bene se io sia il residuo di ciò che ero o se invece la mia attuale presenza abbia un carattere embrionale; forse sbaglio a incentrare la questione sul dualismo e così pago lo scotto della cultura occidentale in cui sono cresciuto.
Non mi considero esterofilo, non rincorro l'utopia di una pensione e invece di qualche certezza previdenziale preferirei che a me venissero concesse verità insondabili, inalienabili, ultraterrene. Riesco a mantenere le debite distanze senza che io debba compiere lo sforzo di allontanarmi da qualcosa o da qualcuno. Il futuro riserva quello che il passato getta nel suo calderone, però a volte non mi sembra proprio così. Vorrei seminare vento non per raccogliere tempesta, bensì le correnti ascensionali con cui accompagnare il volo liberatorio di un aliante celeste.
Gravito nella prosaicità dei bisogni primari, in mezzo ai detriti dei giorni che si adoperano per un senso comune, ma preferirei che la mia esistenza non avesse più a che fare col tempo, anche a costo di se stessa. Cosa c'è mai da capire che non si possa fraintendere? Mi sento lieve, però sono sempre troppo pesante: zavorra di carne, cellule nervose e, soprattutto, di elucubrazioni.
Non voglio cambiare il mondo perché quest'ultimo va bene così com'è e neanche mi preoccupo di precisare ciò che voglio dire davvero; d'altronde se ci provassi dovrei ammettere la possibilità di interloquire e, soprattutto, l'esistenza di un interlocutore: la metafisica mi affascina proprio per la sua impraticabilità e non mi pesa la sua insostenibile leggerezza.
"Dobbiamo parlare" è un imperativo che equivale a dire l'indicibile senza che di fatto sia udito e dunque si pone su un piano ontologico in netti termini di aseità: un plurale maiestatis nel quale manca persino il soggetto e, sia chiaro, questa sua mancanza è quella per antonomasia.
Posso anche concedermi il lusso di prendere una posizione per rimanere di fatto in quella da cui non mi sono mai mosso: se fossi il Sole l'eliocentrismo smentirebbe se stesso e se l'esistenza di Luigi XIV si fosse protrattra per altri ottant'anni anch'egli se ne sarebbe reso conto.

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