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Consonanza

Pubblicato domenica 17 Maggio 2015 alle 23:34 da Francesco

Ho cenato con dei baldi giovani che in altri tempi sarebbero stati devoti a Dioniso, ma in quanto astemio non ne ho condiviso l'ebbrezza. Alla stessa tavola, dove ho mangiato tre ottimi primi piatti per evitare carne e pesce, mi sono ritrovato a parlare con la compagna d'un commensale.
Non immaginavo che costei avesse un tale insight e per un certo arco di tempo ci siamo isolati in una discussione molto interessante: è come se lo scontro delle nostre parole avesse innescato una tempesta cosmica. Noi parlavamo di archetipi e solitudini maestre mentre il rumore di fondo andava componendosi di dibattiti calcistici, battutine da caserma e bestemmie forzate.
Lei conosce la mia visione del mondo e, senza alcuna malizia, ma con quella che io ho percepito come sincera stima, mi ha volto un plauso per i miei intenti poiché vi ha rivisto i suoi.
La sua approvazione non ha avuto presa sulla mia vanità e l'ho considerata più un dato di fatto o un segno di riconoscimento che altro. D'altronde se si fosse trattato d'un mero complimento per me sarebbe stato insignificante: niente di più e niente di meno di un'osservazione analoga che mi si possa rivolgere quando ho i bicipiti in ipertrofia o gli addominali definiti.
Ad un certo punto quest'ottima interlocutrice mi ha detto che per la prima volta era riuscita a farsi capire da qualcuno su un determinato argomento e subito dopo (o forse prima, ma cosa può mai contare l'apparente linearità del tempo?) con un cenno alla filosofia tedesca ho inviato Nietzsche al nostro tavolo; "Quando guardi a lungo nell'abisso, l'abisso ti guarda dentro".
Per me quella non è una semplice citazione con cui darsi un tono né tanto meno un aforisma con il quale riempirsi la bocca in mancanza di meglio, bensì costituisce una realtà, un'esperienza diretta, perlomeno nell'interpretazione che io ne azzardo.
Volgersi verso l'abisso per me significa guardare dentro di sé, correr l'alea dell'introspezione, in quanto guardarsi dentro può rendere ciechi (per parafrasare il titolo di un bel saggio).
L'abisso che guarda di rimando non è altro che la propria immagine riflessa e il pericolo è quello di non riconoscercisi fino al punto di perderci il senno, perciò chiunque scelga o si ritrovi su una certa via è chiamato all'improba fatica di scoprire quanto più può chi davvero egli sia.
A parte questa lodevole e opportuna digressione, il mio dialogo con la banchettante di cui sopra s'è poi snodato in ulteriori vicoli ciechi (poiché questioni d'un certo ordine sono insolubili), e vi ho trovato un'intesa rara a cui non è seguita alcuna forma d'attrazione benché si tratti senz'ombra di dubbio d'una donna avvenente: nulla è scattato in me perché lei è occupata e io non sono affascinato né platonicamente né fisicamente da chi già costituisce la metà di qualcun altro.
Ancora una volta gli dèi si prendono gioco di me ed è per questo motivo che io voglio arrivare quanto più vicino possibile alle porte dell'Olimpo, così da avere l'occasione di incontrare in quei dintorni un'incarnazione della Venere Callpigia. Se mai qualcuno dovesse starmi accanto io le riconoscerò una natura semidivina poiché tutte le mie lotte interiori così la incoroneranno, e di un'origine talmente ibrida saprò vivere tutto. Intanto la battaglia si annuncia ancora lunga.

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