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L’ultimo traguardo

Pubblicato lunedì 11 Agosto 2014 alle 16:03 da Francesco

Alcuni giorni or sono stavo finendo i preparativi di una trasferta in Francia per un’altra corsa di cento chilometri, ma all’improvviso mi sono posto una domanda: “Perché continuo a partecipare alle gare?”. Sulle prime non ho trovato una risposta e nemmeno in seguito ne ho scovata una. Ho cominciato a gareggiare per dimostrare qualcosa a me stesso, però in meno di un anno e mezzo ho avuto più soddisfazioni di quante potessi auspicarmene. Oramai le mie motivazioni sono esaurite e soltanto il narcisismo può fornirmi ancora la spinta per competere, tuttavia non lo considero sufficiente e dunque preferisco smetterla con l’agonismo. La forza dell’abitudine ha infiacchito ciò che all’inizio era quasi prometeico, perciò anche la carica emotiva è marcita e solo un’insofferenza incipiente me ne ha dato contezza; mi chiedo se sia così anche in quei rapporti amorosi di cui il tempo usura e svela le deboli premesse, a differenza d’altre relazioni nelle quali invece i moti iniziali della passione si rinnovano come spontanee primavere.
Ho cominciato a correre per disperazione, quando la mia unica alternativa era il suicidio, e non voglio che la corsa si serva di me: dev’essere l’esatto contrario. Con l’abbandono delle gare ristabilisco l’ordine originario e mi affranco dalle continue pretese dell’Io: mai che quest’ultimo lo si possa lasciare solo un minuto! Per me l’attività fisica è importante in quanto mi permette di colmare almeno parzialmente le mancanze affettive che costellano la mia esistenza e non voglio fare a meno del diffuso senso di benessere che ne traggo e col quale contribuisco all’economia del mio umore, perciò continuerò a correre e ad allenarmi con il solo obiettivo di farmi del bene. Mi dispiace per l’aspetto umano della disciplina, difatti il podismo mi ha dato modo d’incontrare gente simpatica e anche qualche persona straordinaria che probabilmente non rivedrò mai più. Le classifiche parlano da sole, un po’ come me quando corro o pedalo in luoghi ameni senza una meta precisa. Per quanto possibile intendo godermi sott’acqua i rimasugli di quest’estate imperfetta. Ogni tanto mi piace trattenere il respiro quanto basta per stare immobile a qualche metro di profondità, ma lascio ad altri la tentazione di non affiorare più in superficie.

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Ago

Tra indifferenza e citazioni

Pubblicato venerdì 1 Agosto 2014 alle 16:41 da Francesco

In questi giorni non mi riconosco. Sono stanco, indolente e non riesco a concentrarmi su nulla. Avverto persino un velo di malinconia nelle mie riflessioni, però non so chi ve l’abbia adagiato e mi chiedo se non sia caduto inavvertitamente alle Moire mentre esse tessevano il mio destino.  Se mi lasciassi soggiogare da queste perturbazioni passeggere finirei per scrivere come se fossi l’unica persona al mondo ad avere dei problemi. In realtà non ho niente che una buona dormita non possa risolvere. Mica sono fatto di merda: anch’io sono un essere umano e non posso farci nulla, tutt’al più posso esserci, nel senso di Heidegger. La citazione è servita: per ora in quanto aggettivo, ma in futuro non so se servirà anche in qualità di verbo intransitivo con l’ausiliare al seguito. Prove tecniche di sagacia, un po’ come l’inversione dei dolori del giovane Werther.
D’autunno non starò come le foglie sugli alberi, perciò parafraso i versi di Ungaretti per darmi un tono. Gli stereotipi estivi sono resi anacronistici dai mutamenti del clima: ogni tanto qualcuno si ricorda che tutto cambia o forse ne è sempre conscio e all’uopo finge di stupirsene per chissà quali ragioni. Divago come se dovessi vivere davvero. Arretro d’un passo, ma tanto sono tenuto a farne molti in avanti: mi riferisco al podismo. Tra un paio di mesi correrò all’estero per la prima volta: ho scelto d’esordire oltralpe con un’altra corsa di cento chilometri, la stessa distanza con la quale ho iniziato a gareggiare. Non mi pongo obiettivi particolari e intendo allenarmi in modo spontaneo, senza badare a tabelle o ad altro. Non sono bravo ad applicare programmi specifici e non voglio rischiare un’involuzione o, ancor peggio, una deformazione dei motivi primevi che mi hanno indotto a correre. Sono partito dalla soglia di un forte disagio esistenziale e alla fine ho avuto anche delle soddisfazioni cronometriche: ciò non devo dimenticarlo mai, specialmente quando sulle ali dell’entusiasmo il mio Io lascia che gli s’introducano delle ambizioni clandestine.
Per me la corsa è solo una via per meditare che mi consente d’estraniarmi dall’impazzimento in cui versa il genere umano; è un modo per tollerare quella crudeltà che di fatto non so neanche se sia giusta o meno, ma a cui di certo una parte della mia specie non è più abituata da quando la cosiddetta civiltà ha aumentato le sue pretese: su ciò i saggi del dottor Freud sono esaustivi. Se fossi una persona migliore me ne starei sotto un albero a occhi chiusi, in perfetta ascesi, ma sono uno della massa e non è certo qualche sporadica bizzarria che può rendermi differente dal resto. Non so quanto mi resti da vivere, ma voglio cercare di trascorrere quest’arco di tempo nel migliore dei modi. Buona fortuna a tutti.

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