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Masterpiece, entropia e logomachie

Pubblicato martedì 19 Novembre 2013 alle 08:24 da Francesco

Può darsi che in futuro questo post scompaia per sopraggiunta obsolescenza.

Ancora una volta devo ricorrere alle parole per sostenerne delle altre: che gran noia Babilonia. Due giorni fa su Rai Tre è andato in onda un programma televisivo a cui ho preso parte: Masterpiece. Non ho visto la trasmissione, ma in tutta onestà dubito che sia stata soltanto la mia scrittura (invero non la reputo neanche la ragione principale) ad aprirmi le porte degli studi RAI di Torino: a differenza di altri io cerco di essere obiettivo e non mi identifico con quello che faccio. Serbo un gradevole ricordo di quella simpatica esperienza e soprattutto dei ragazzi della redazione a cui rivolgo un saluto: spero che giunga loro per puro caso!
Durante le riprese ho intuito subito che almeno nelle prime puntate del programma le biografie degli autori avrebbero prevalso sui testi, ma avevo già preventivato un risvolto del genere e non l’ho vissuto come un vulnus letterario.
Anzitutto prendo le distanze dalla giacca che mi ha rifilato la costumista e mi vedo costretto a rettificare alcune imprecisioni che sono state diffuse sul mio conto. Non so chi mi abbia consegnato le patenti di intellettuale e filosofo, ma io non sono né il primo né il secondo e non intravedo nella mia persona alcuna giustificazione per il conferimento di questi titoli. Un’altra imprecisione riguarda la breve intervista che mi ha fatto quel buontempone di Massimo Coppola: a costui ho detto di praticare una masturbazione non compulsiva (che di fatto è un modo per sottolineare un’ovvietà propria di una larga fetta della popolazione maschile), ma qualche giornalista disattento l’ha invece riportata come “compulsiva”; inoltre è passata l’idea che io non desideri relazioni e anche questo è falso: pazienza. Nulla a che vedere con le tecniche narrative, tutt’al più spunti per rilegature artigianali con colle organiche: in ogni caso credo che gli abitanti delle terre emerse se ne siano fatti una ragione.
Non devo difendere la mia scrittura poiché la letteratura europea, italiana, finanche quella del mio circondario possono tranquillamente sopravvivere senza l’ausilio dei miei libercoli. Tutti sono utili e nessuno è indispensabile. Ho letto giudizi superficiali, ma anche ottime e caustiche ironie. La televisione trasmette immagini (in senso lato) e non è detto che queste debbano aderire per forza alla realtà, di conseguenza è comprensibile che a taluni della mia persona e del mio scritto sia rimasto impresso nient’altro che l’onanismo. Non mi prendo sul serio e cerco di fare quello che cazzo mi pare senza mai rompere i coglioni al prossimo.
Chi vuole vedere al di là dei semplicismi può farlo, ma non è sicuro che varcato il confine del riduzionismo ci sia poi molto altro da scoprire, perlomeno nel mio caso: chissà! Ho apprezzato le parole che De Carlo ha speso per lodare la mia disciplina. Mi preme chiarire quanto il divieto di bestemmiare abbia limitato oltremodo i validi argomenti con cui avrei potuto perorare la nobile causa di un cazzeggio blasfemo. Non ho più l’entusiasmo per cimentarmi nelle logomachie virtuali. La ragione la cedo al migliore offerente o al primo che arriva: per me è indifferente.
Per scrivere e fare davvero arte dovrei superare la vanità (ma è solo questa la propulsione di cui so avvalermi) e raggiungere ciò che Bene (nel video in calce) chiama “disfacimento del concetto di soggetto”, ma quest’ultimo traguardo io sono in grado di sfiorarlo soltanto nella corsa, rimossa dalla sua cornice sportiva e intesa come processo di annullamento dell’Io. Anche questo appunto è un atto di vanità perché chi è in grado di comprendere ciò non ha bisogno di vederlo scritto.

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