29
Gen

Sevizie semantiche

Pubblicato martedì 29 Gennaio 2013 alle 19:35 da Francesco

Si può vergare qualsiasi corbelleria su un pezzo di carta pregiata, ma questa libertà d’imbrattare e di trascrivere ciarle mi diverte oltremodo quando presenta velleità dogmatiche. Non so davvero come interpretare la costituzione, il codice penale, la dichiarazione dei diritti dell’uomo, il regolamento del Monopoli, le dichiarazioni d’indipendenza, ma anche i Kleenex con cui si asciugano le lacrime di commozione dinanzi a cotanti faldoni, nonché lo Scottex che all’uopo può assorbire la pioggia che cade sul bagnato o il sangue che in quest’ultimo scorre a rivoli; ebbene, fate vobis!
Voglio smontare il linguaggio per abusarne senza uno scopo o quantomeno senza pormene uno da cui calare la carota. Talora odo individui che non si capiscono da un capo all’altro del disagio, ma ne apprezzo l’ostinazione attraverso la quale essi suggellano i reciproci fraintendimenti. Non ho bisogno di rispettare qualcuno, i morti men che mai! Ognuno piange i cadaveri che lo fanno sentire vivo, ma io sono convenzionato con la morte e non ho bisogno di mezze verità per riempire la parte del bicchiere che è ancora vuota: le mie giornate sono fulgide e risplendono d’amor proprio. L’identificazione è una brutta bestia che io cerco di affamare. Conosco molti coglioni che considero tali perché evidentemente mi reputo migliore di loro, però questo giudizio corrisponde davvero alla realtà fattuale o mi certifica lo status che io attribuisco a terzi? Se potessi copulare con l’oggettività mi porrei il problema, ma io tutt’al più mi massaggio l’uccello con regolarità certosina e dunque mi avvalgo di approssimazioni perché non ho nulla di meglio. Circoscrivo un campo in cui ritengo probabile la presenza di elettroni. Specchio delle mie brame, quanta merda nel reame.

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26
Gen

Null’altro che resilienza

Pubblicato sabato 26 Gennaio 2013 alle 16:05 da Francesco

Sono vivo, ma l’onere della prova non spetta a me. Ho la mente sgombra e nel mio cerebro non circolano inquietudini. Vorrei vivere in un mondo migliore, però non tengo mai un’utopia in tasca. Quest’epoca decadente non conoscerà una discesa infinita, ma forse riprenderà quota quando i limiti biologici mi avranno già condotto in punta di piedi sull’orlo di quel precipizio da cui ognuno è destinato ad affacciarsi. La ciclicità mi rincuora oltremodo e all’orizzonte non scorgo una fine imminente, ma può darsi che questa mi sia perpendicolare. Non ho nulla da obiettare agli eventi che cadenzano la mia vita interiore: ne accompagno le oscillazioni senza offendere la volontà. Ho del tempo a disposizione che cerco d’impiegare nel migliore dei modi per stare bene e per sviluppare la mia persona senza nuocere alle altre creature viventi, anch’esse dotate di respiro. In questa fase della mia vita non ho tensioni né ambizioni, e invero dentro di me non sono mai state particolarmente intense né le une né le altre, tuttavia non escludo che entrambe possano ripresentarsi a braccetto e senza preavviso. Non ho colpe da espiare né meriti da sventolare come se fossero bandiere bianche. Mi trovo in una neutralità confortante mentre attorno a me sembra che ogni cosa crolli o imputridisca. E passeggio tra rovine e tessuti necrotici, tra bellezze mitologiche che sono rese tali dalla distanza, tra ciò che fu e che non sarà mai, da ciò che non è stato e sarà; circa.

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22
Gen

Nuova introspezione filmata: #1

Pubblicato martedì 22 Gennaio 2013 alle 14:25 da Francesco
Torno all’introspezione filmata dopo anni, ma nei contenuti questo primo video ne è solamente una premessa indispensabile.
 
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18
Gen

Lucidità, amore e morte

Pubblicato venerdì 18 Gennaio 2013 alle 13:55 da Francesco

A me pare che la crescente comprensione dei miei processi interiori mi appaghi in misura assai maggiore delle fantasie che costituiscono gli scheletri dei miei desideri più reconditi. In questo confronto di astrazioni noto un dominio della razionalità che per me non è affatto la traduzione di una resa incondizionata al vuoto della mia sfera emotiva, bensì un’ulteriore esaltazione delle mie potenzialità affettive.
È come se il tempo mi levigasse la personalità. Credo che in parte il mio equilibrio dipenda dalla disponibilità ad ascoltare le mie istanze e dalla capacità di spiegare a me stesso come mai non sono ancora in grado di accoglierle. In tutto ciò noto anche un legame stretto con l’evoluzione della mia idea di morte. Non in qualche trattato fumoso o dalle labbra ormai automatizzate di un decano della psicoanalisi, ma in me stesso ho avuto modo di capire quanto Eros e Thanatos siano legati a doppio filo. È come se in me quell’intuizione di Freud trovasse una sintesi sempre più in debito di tensione, però io non so quanto sia autentica né se abbia un’origine patologica. Considero la mia affettività in continua evoluzione benché non abbia mai avuto concretizzazioni e non mi sento privato di qualcosa. Mi vedo come un individuo in ritardo su una tabella di marcia che potrei forzare solamente se sapessi mentire a me stesso con la sufficiente convinzione o se avessi una lucidità inferiore a quella che invece cerco d’impormi tramite la scarnificazione dell’Io. Non compio sacrifici, ma faccio i miei interessi sebbene all’apparenza le mie azioni (e soprattutto la mia inerzia affettiva) diano l’impressione di un autolesionismo emotivo. Ho un vantaggio che sembra una condanna, ma non me ne preoccupo perché non devo mica venderlo in un bazar.

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14
Gen

Archivio onirico: sogno n. 12

Pubblicato lunedì 14 Gennaio 2013 alle 09:04 da Francesco

La scorsa notte ho sognato una ragazza che conosco di vista e con cui ho parlato per un breve periodo circa sette anni fa. Tutto è avvenuto in un’abitazione, la sua suppongo. Nel sogno lei era più bella di come l’ho trovata quando l’ho rivista per caso questa estate; appesantita di qualche chilo, invecchiata di qualche anno e forse gravata da qualche delusione.
Non ricordo cosa mi abbia detto nella scena onirica. D’un tratto è arrivata sua madre a casa e dopo essersi presentata mi ha chiesto di andarmene perché aveva da fare con sua figlia, ma il suo invito è stato gentile. Prima mi sono ritrovato in un parcheggio riservato con una sbarra e poi di nuovo nella casa suddetta, ma nel frattempo quest’ultima era diventata un labirinto di pietra. All’improvviso un gruppo di artisti circensi ha incominciato ad inseguirmi per gioco mentre io ho preso a fuggire seriamente, del tutto impaurito. Non rammento altro.

Questo sogno è l’ennesimo messaggio col quale l’inconscio mi notifica la carenza affettiva della mia esistenza. Non c’è da parte mia un’attrazione latente per quella ragazza, ma quest’ultima è il simbolo (infatti essa appare con un’immagine decisamente migliore rispetto a quella reale) di un anelito che continua a scorrere sotto la soglia della mia coscienza. Interpreto la madre e la sua richiesta come la mia volontà, la quale si oppone ad un bisogno che non possa essere soddisfatto tanto in senso platonico quanto carnale, ma una parte di me che ha scarso potere vorrebbe appagarsi anche solo parzialmente ed è per questa ragione che si palesa il contrasto.
Il ritorno nella casa esprime la ciclicità del desiderio di amare e credo che la trasformazione dell’ambiente domestico in un labirinto sia la rappresentazione della difficoltà di conoscere una persona compatibile; la pietra di cui è fatto il labirinto probabilmente sottolinea il carattere improbo dell’impresa. L’inseguimento degli artisti circensi lo spiego con le distrazioni, gli impegni e le beghe che la quotidianità m’impone e a causa delle quali trascuro il mio deserto affettivo.

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12
Gen

Damnatio memoriae

Pubblicato sabato 12 Gennaio 2013 alle 23:40 da Francesco

Questo è l’esordio di un libro che non mi sono mai deciso a scrivere. L’ho ritrovato quest’oggi in mezzo ad altri appunti e ho scelto di riversarlo qua sopra poiché non ho alcuna intenzione di riprenderne la stesura.

Avevamo appena sfondato l’ultima lapide quando un lampo improvviso soppresse il buio del cimitero: quel bagliore fu caduco quanto lo era stata la vita del bambino che si trovava sepolto accanto al bersaglio finale dei nostri martelli. Coperti dai sibili del vento e col favore delle tenebre che ci eravamo procurati tramite il sabotaggio dei lampioni perimetrali, noi avevamo scelto quella notte di gennaio per profanare le tombe di alcuni politici. Indisturbati, fortemente convinti, meticolosi e al contempo feroci, per quasi un’ora ci eravamo impegnati anima e corpo a fare scempio di chi non aveva mai avuto la prima né ormai poteva più disporre del secondo. Scritte assai ingiuriose, colate di vernice, urina sui marmi divelti e volantini d’accusa: tutto questo eravamo riusciti ad allestire con caotica perizia. Prima di andarcene io assolsi il compito d’immortalare con la fotocamera del cellulare cotanto sfregio: in seguito le immagini e i filmati sarebbero stati diffusi con il duplice scopo di informare e d’istigare ad atti d’emulazione.
Sulla strada del ritorno tacemmo tutti e quattro per precauzione, però non fiatammo nemmeno una volta giunti alle moto. Senza la luce indiscreta della Luna e con dei rumori nembiferi sempre più prossimi, salimmo in sella e ripercorremmo le strade sterrate che avevamo studiato a menadito per scongiurare eventuali controlli di polizia o carabinieri. Lungo il tragitto pensai alle mosse successive, ai piani a cui la nostra cellula si era dedicata per oltre due anni e che erano in procinto di concretizzarsi nel più efferato dei modi. In cuor mio sapevo che presto avremmo imboccato una strada senza ritorno, d’altronde la nostra era diventata una scelta obbligata che volevamo condividere con quanto l’aveva resa tale. Il nostro tempo era contato, come quello d’ogni altro, ma a tratti veniva scandito a mo’ di lentissima tortura.

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10
Gen

Analogie forzate

Pubblicato giovedì 10 Gennaio 2013 alle 00:00 da Francesco

La scorsa notte ho oltrepassato la quarantottesima ora di digiuno e ho interrotto quest’ultimo con un pasto che ho consumato davanti ad un vecchio film con Charles Bronson protagonista. Mi è piaciuto il finale tragico di “Città violenta”, però ne auguro uno migliore per il sottoscritto.

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8
Gen

Verso la fine del digiuno

Pubblicato martedì 8 Gennaio 2013 alle 23:48 da Francesco

La scorsa notte, prima di addormentarmi, ho avuto un giramento di testa che mi ha ricordato lo stato di ipoglicemia al quale andai incontro un giorno che pedalai a stomaco vuoto per ottanta chilometri. Sono comunque riuscito a prendere sonno senza problemi e mi sono svegliato bene. Per buona parte delle giornata non ho avvertito fastidi e per fare un affronto alla mia volontà mi sono recato a fare la spesa in un grosso supermercato di una cittadina limitrofa.
Stasera ho cominciato a risentire delle fitte alla testa sempre più forti che la volta precedente si erano fermate dopo le prime ventiquattro ore. Resterò in piedi fino alle tre e mezza di notte per chiudere il secondo giorno di digiuno e per interrompere l’astensione dal cibo: la testa mi duole troppo. Avrei voluto protrarre l’esperienza per quattro giorni, ma obiettivamente non sono in grado di farlo. Nelle attività fisiche come in quelle di ristoro io ascolto il mio corpo, almeno nella mia misura in cui ciò mi è possibile, perciò non faccio mai nulla di avventato e questo stop imminente ne è la dimostrazione. Assieme allo strazio ho raccolto dei brividi intensi che m’hanno condotto verso riflessioni di cui ogni mia nota non saprebbe rendere l’idea: forse avrei bisogno di un corrispondente dall’interno.
Questa volta, proprio come la precedente, ho avvertito la bellezza e la crudeltà d’una sensibilità maggiorata… Ad esempio, ieri e oggi ho visto le stesse cose che vedo quasi sempre, ma le ho contemplate in maniera diversa. Le luci d’un treno mi hanno fatto pensare ad una bestia munita di occhi lungo tutto il suo corpo, ma anche alle lampade accese di quelle case in cui le vite sono condotte con la stessa monotonia, come se corressero sul posto invece di snodarsi lungo posti che appaiono identici nella notte. Ho avuto vari di questi parallelismi spontanei, quasi di matrice surrealista, ma forse dovrei essere in grado di dipingere per poterne abbozzare l’entità: con la scrittura, o almeno con il mio stile di scrivere, non posso che fornirne rappresentazioni smorte.

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7
Gen

Verso le prime ventiquattro ore di digiuno

Pubblicato lunedì 7 Gennaio 2013 alle 21:11 da Francesco

Inizio a sentire i morsi della fame e in particolare il bisogno di carboidrati. Conosco questa parte del digiuno perché l’ho già affrontata in passato, ma la considero ancora l’anticamera di quella piena esperienza di privazione nella quale voglio tuffarmi come nell’oceano calmo di un pianeta disabitato. Ci sono immagini fantasmagoriche che già cominciano ad accavallarsi in me: escono dalle dita e in ebollizione dalla ghiandola pineale.
Ho bisogno di distrarmi per superare questa fase e per me il modo migliore consiste nel guidare a vuoto ascoltando della musica adatta allo scopo. È l’ultimo album degli Hammock che mi terrà compagnia nelle prossime ore, ovvero Departure Songs. Un’accentuata percezione del freddo e un senso di leggerezza mi compenetrano come già ho avuto modo di esperire anni addietro, ma so per certo che il meglio devo ancora accoglierlo. Lo stomaco e la mente si scambiano accuse come se fossero genitori divorziati. Contraggo il ventre. Penso che sarò sveglio alle tre di notte per superare il primo giorno di astinenza dal cibo.

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7
Gen

L’inizio del digiuno

Pubblicato lunedì 7 Gennaio 2013 alle 04:22 da Francesco

Non riesco proprio a prendere sonno perché in questa notte d’inverno sento e seguo il richiamo irresistibile della mia parte migliore. Porto in grembo il rigoglio di una commozione profonda che di tanto in tanto emerge all’improvviso e mi rapisce: qualcuno potrebbe ritenerla solamente una manifestazione ipomaniacale. Sfortunatamente la psichiatria non è ancora una scienza esatta. Alla soglia della terza decade ho chiuso tanti capitoli, alcuni cartacei, altri esistenziali. Non sento la necessità di voltare pagina né di riscrivere ciò che il tempo ha già dissolto nell’indifferenza del suo passaggio. In momenti come questi il mio vuoto assume una compattezza estatica, quasi mi avvolgesse come gli anelli di Saturno.
Per protrarre questa sensazione devo praticare il digiuno, perciò da stanotte mi limiterò a bere acqua fino a quando non cederò alla fame. Non ho una dimensione spirituale e tali esplosioni di gioia le attribuisco a cause fisiologiche di cui io non sono in grado di tracciare l’eziologia. Voglio trarre il meglio dall’arco di tempo lungo il quale saprò astenermi dal cibo e intendo annotare le riflessioni di quest’esperienza per documentarne e sostenerne lo svolgimento.
Il mio ultimo digiuno risale a due anni fa e durò settantadue ore. Non m’importa di perdere un po’ di massa muscolare: in seguito mi allenerò e mangerò in modo tale da poterla recuperare. Mi sento all’inizio di un viaggio. Il mio ultimo pasto risale alle tre e un quarto di questa notte.

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