26
Mag

Momento di grazia

Pubblicato sabato 26 Maggio 2012 alle 15:09 da Francesco

Sguazzo nel citoplasma di un periodo floridissimo nonostante mi sia dato d’assistere alla deriva dei continenti e in particolare dei loro contenuti. Non ho legami né legacci e non sono mai stato così distante dal resto del mondo sebbene tutt’altro che di rado io mi ritrovi a corrervi in mezzo. Il mio morale non è alle stelle, però orbita a debita distanza dalla biosfera e mi permette di fare sonni tranquilli che aggettano verso dei risvegli altrettanto sereni. Il mio organismo sta bene e il suo involucro è debitamente allenato; se qualche malattia volesse farsi avanti la pregherei di presentarsi almeno con un collo di bottiglia ben aguzzo. Lo yeop chagi è sempre più vicino.
Durante l’estate comincerò a scrivere il mio quinto libro e renderò disponibile il terzo attraverso i canali a cui ho già affidato il secondo: il quarto non ho alcuna intenzione di sottoporlo alla trafila degli altri e lo terrò in serbo per un’improbabile aggiunta di sfumature rosee agli scenari futuri. M’impegnerò seriamente a cercare un contratto editoriale per esordire col quinto scritto poiché quest’ultimo non sarà un romanzo, bensì uno studio attraverso cui nutro l’ambizione di colmare quella che reputo una grave lacuna. Non ho grandi speranze di riuscita, ma avverto la necessità di tentare lo stesso: a differenza d’altri, io non posso proprio tirarmi indietro al cospetto d’una così oracolistica intuizione. Il tempo sarà mio giudice, con palette per i voti o paletti per ostacoli.

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23
Mag

A volte come un meteco

Pubblicato mercoledì 23 Maggio 2012 alle 13:46 da Francesco

Il crollo di un campanile mi ricorda puntualmente come il tempo sia destinato alla stessa caduta. Vorrei slacciarmi dal corpo per fluttuare sopra i nocumenti. Vorrei convertire il mio ateismo in un atto di fede per una palingenesi retroattiva, però non esiste un Monte dei Pegni che me lo valuti abbastanza e anche per questa ragione prediligo altri crinali, irti di saliscendi sui quali mi diletto a corsa o in bicicletta. Trovo insincere quelle parabole della vita che certuni sono adusi a tracciare o a ricalcare sotto le ombre degli archivolti; mi ricordano gli orribili castelli di sabbia dei bimbi, ma irraggiungibili dalla salmastra clemenza d’una marea che possa abrogarne le storture. I bagni d’umiltà sono fuori questione nonché fuori stagione.
Il primato della dissoluzione non mi spinge verso un annichilimento precoce, bensì mi rende più incline a felicitarmi per i respiri che pongo in essere. Dovrei avvalermi di più della criptolalia; non coltivo l’utopia della comprensione: anch’essa è fuori stagione e, purtroppo, pure fuor di dubbio. Per pareggiare i conti mi confronto con la mia immagine riflessa; di rado con quella fotostatica. Non scorgo grandi cambiamenti nell’immediato futuro, tuttavia gli orizzonti restano incantevoli. Chissà se le istruzioni per l’uso assomigliano alle garze che qualche volta i chirurghi lasciano nei corpi dei pazienti: meticolosi e sbadati come i protagonisti del pantheon ellenico.

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20
Mag

Nelle Marche

Pubblicato domenica 20 Maggio 2012 alle 23:42 da Francesco

Ho avuto modo di trascorrere un paio di giorni nelle Marche senza sborsare una rupia e ne sono stato felice. Ho compiuto brevi visite a Urbino, Macerata, Osimo, Numana e Sirolo: sono rimasto incantato da quest’ultimo e ho stretto un patto con il Conero per farvi ritorno.
Sono stato anche a Recanati e ho fatto due passi davanti alla casa di quel buontempone che fu Giacomo Leopardi, tuttavia me ne sono sbattuto altamente le palle di visitarla e ho invece avuto la fortuna di accedere ai locali di una vecchia sartoria sita nelle immediate vicinanze. Vesto come il cliente medio degli scafisti, non ho mai indossato una cravatta né una camicia e mi auguro di farne a meno per il resto dei miei giorni, ma sono rimasto affascinato dal lavoro di quell’atelier. La bellezza di Urbino non mi ha sconvolto, però nei suoi dedali ho trovato un vicoletto che mi ha rapito, precisamente un’umida viuzza alla cui fine si trova la sezione periodici della biblioteca umanistica dell’università Carlo Bo. Avrei parecchio di cui scrivere e questo è un buon motivo per non farlo, però non sarebbe sufficiente se non fosse accompagnato dalla mancanza di voglia.

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16
Mag

Reiterate impressioni con apocalisse annessa

Pubblicato mercoledì 16 Maggio 2012 alle 12:44 da Francesco

Seguo con interesse la deflagrazione dell’Europa. Ogni tanto penso a quel farmacista che si è sparato in piazza Syntagma ad aprile: sopravvissuto all’occupazione dei nazisti nel quarantuno, è stato ucciso dalla dittatura finanziaria che ne ha legittimati dei nuovi nel parlamento greco. Laddove è nato il pensiero occidentale, oggi per molte persone si prospetta uno stile di vita pari a quello che fu di Diogene di Sinope. La culla della democrazia è intrisa di sangue e tra quelle macchie rapprese forse ritorneranno i tempi efferati di Licurgo. Ho sempre lottato dentro di me per confutare la più celebre espressione di Hobbes, ma ormai non mi resta altro che chiedere l’onore delle armi: homo homini lupus.
Questi anni finiranno nei libri di storia su pagine di caligine. Io non condanno la violenza, bensì mi auguro che esploda in faccia ai governanti inetti: passati, correnti e futuri. Credo che occorra uno shock potentissimo per riportare il male sotto la soglia della sopportazione, a mo’ di cura omeopatica. L’acqua bolle a cento gradi Celsius e il piombo fonde ad oltre trecento: in tutto vi è un punto di rottura. Se in Europa dovessero verificarsi tensioni sociali su vasta scala allora mi adopererei per trovare un’amaca nel sud-est asiatico, ma non punterei il dito contro fiumane di persone incazzate e disposte a tutto. Spero di non essere mai costretto ad abbandonare la mia terra, tuttavia se lo stallo continentale provocasse uno scenario del genere io approverei tutte le reazioni violente e non potrei fare altresì per rimanere onesto con me stesso. Ogni individuo dovrebbe auspicarsi il bene del prossimo in quanto le persone che non hanno nulla da perdere sanno diventare armi fatali: seguo la via di un egoismo illuminato in quanto non ho facoltà di incidere al di fuori della mia esistenza. I politicanti, le istituzioni, i feticisti del garantismo e altra gentaglia del genere esigono l’uso esclusivo di strumenti democratici per cambiare le cose, ma solo perché  sanno benissimo quanto sia facile abusarne per proteggere i loro interessi o i loro princìpi, entrambi sottoprodotti del banditismo. I tempi biblici dei meccanismi democratici sono clessidre di morte: ci deve essere una convenienza comune a rispettare le regole e queste non devono valere al di là della vita come un dogma religioso. Purtroppo espongo la mia attenzione a tematiche del genere perché ritengo che il peggio debba ancora arrivare con tante mattanze in dote, perciò cerco di giocare d’anticipo, almeno col pensiero. Non si può buttare in faccia a dei disgraziati agi e privilegi per poi ricordare agli stessi che sono appannaggio di quanti sappiano abusare della res publica. A me non interessano gli ideali, ma le questioni pragmatiche. Non ho una causa da sposare e cerco di pensare a me stesso senza danneggiare il prossimo. Non mi perdo nell’identificazione con qualche corrente di pensiero pur approvandone talune, a torto o a ragione. Non sono un idealista e penso soltanto a me, ma per farlo bene, a differenza di quanto ritengono arraffoni ottusi d’ogni risma, devo confrontarmi onestamente col malessere altrui. Se avessi gli attributi per fare l’anacoreta nel Kalahari probabilmente me ne sbatterei i coglioni, ma d’altronde gli effetti di queste parole sono del tutto identici all’indifferenza di certuni e hanno un po’ di utilità esclusivamente per il sottoscritto, cosicché sia pronto alla peggiore delle evenienze.

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14
Mag

Maiali ammainati

Pubblicato lunedì 14 Maggio 2012 alle 11:57 da Francesco

Finalmente ho smesso di mangiare carne. Non sono diventato un vegetariano poiché alcuni dei pasti che mi preparo con le manine sante includono ancora il tonno, ma ormai la maggior parte delle mie proteine deriva dal seitan e dalla soia. La mia scelta non è stata etica, bensì un po’ salutistica. Ho scoperto un graduale disgusto per la consumazione delle carni bianche e rosse, perciò la rinuncia non ha costituito un sacrifico, ma solamente un appuntamento al quale sono giunto con largo ritardo. Grazie all’attività fisica potrei permettermi di mangiare qualsiasi cosa in quantità esagerate senza compromettere il mio peso, tuttavia i piaceri della tavola per me non corrispondono necessariamente alle preferenze alimentari che mi sono state imposte durante la crescita con la forza dell’abitudine.
In una sorta d’introspezione nutrizionale sono tornato indietro di parecchi pranzi e d’altrettante cene, quando gli adulti coglievano ogni occasione per mettersi all’ingrasso: matrimoni, funerali, feste comandate o improvvisate, compleanni e stronzate analoghe. L’opulenza di quei banchetti e la voracità dei partecipanti evoca in me ricordi scabrosi: masse di animali che ne mangiavano altri con mimiche quasi predatorie. All’epoca sentivo già questa insofferenza, ma non ero ancora abbastanza consapevole per elaborarla e io stesso ne ero complice poiché proprio come gli altri m’ingozzavo: un classico ricorso al cibo come scudo contro problemi d’ordine superiore.
Per fortuna un giorno ho capito che le persone più anziane non sono più sagge di me, ma solo più vecchie e così ho smesso di ascoltare le loro cialtronerie: per Diana, una rivoluzione epatica! Alla luce di quanto scritto, l’estromissione della carne dalla mia dieta è la conquista di uno degli ultimi baluardi di tutto ciò che mi sono impegnato a disimparare: ecco perché la mia scelta non è etica e solo un po’ salutistica.
Provo una repulsione totale verso quanti trascorrano la mattina a lambiccarsi su cosa preparare a pranzo e, una volta finito quest’ultimo, ricominciare daccapo per la cena. Detesto i pasti che durano troppo e non vi partecipo, tuttavia se un giorno mi ci trovassi per un insolito caso del destino, allora non mi farei problemi ad andarmene a tempo debito con la maleducazione del caso. Non sopporto l’idea di stare ore assiso davanti alle vettovaglie, col culo inchiodato su una sedia a contemplare quanto oltrepassi l’immaginazione di un somalo. Non sono un palato fine, ma penso di essere in grado di discerne tra una sana degustazione e la bulimia che impera tra i mulini bianchi. La mia apparente asocialità talora è un modo per evitare la guerra delle rosette. Oibò, per me né carne né carnalità.

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11
Mag

Sincerità discutibile

Pubblicato venerdì 11 Maggio 2012 alle 13:36 da Francesco

Anzitutto un caro saluto agli amici della DIGOS qualora dovessero capitare su queste paginette. Dinanzi a certe notizie ho delle reazioni spontanee che non censuro, perciò mi vedo costretto a mostrare apprezzamento per la prospettiva di un revival degli anni di piombo.
Lo Stato uccide per interposta imposta e una lotta armata mi pare il minimo che degli estremisti possano fare per veicolare un’insofferenza diffusa. Non vivo in una situazione di disagio né mi sento vicino a gruppi eversivi, ma cerco d’interpretare il malessere e l’impotenza che negano il sonno a molte persone. Una volta saltato il contratto sociale credo che tutto sia permesso: ogni cosa. La legge non è sempre giusta né efficace e talvolta delinea un confine da sorpassare per sopperire alle sue mancanze. Nessuno può pretendere che masse di esseri umani soffrano per delle idee, per quanto nobili siano, senza che vi siano reazioni. La democrazia non funziona? Prego, migliorarla o sovvertirla. Qualcuno stigmatizza la violenza per la paura più o meno conscia di dovercisi confrontare senza avere un’istituzione che lo difenda, insomma tutt’altro che un’onesta e lodevole ripugnanza nei confronti di una delle più antiche compagne del genere umano. Tanti monumenti del cazzo sono costati la morte a persone schiavizzate e oggi colmano il senso artistico dei turisti, però poco importa poiché la distanza temporale rende tollerabili quei sacrifici inutili. La violenza è ovunque e spesso investe persone innocenti, perciò se l’umanità non riesce a disfarsene allora è meglio che la convogli verso la parte di sé più abietta. Se alcuni individui fossero stati uccisi in tempo molti altri non avrebbero dovuto pagarne le decisioni scellerate. Purtroppo uno sterminio lucido e mirato è difficile, difatti, come sottolineo sempre in appunti del genere, l’errore imperdonabile delle Brigate Rosse (e di organizzazioni analoghe) è stato quello di coinvolgere degli innocenti. Chi decide chi deve morire? Chiunque metta in gioco la sua libertà e la sua vita per inseguire un obiettivo apparentemente utopico: la medesima discrezionalità che appartiene a quanti invece sono chiamati a legiferare senza l’ausilio dell’empatia.
Apologia di reato? E sia, ma questo è ciò che penso senza cavalcare alcuna onda emotiva né tanto meno ideali che non mi appartengono. La scuola e associazioni “educative” provano a trasmettere valori di legalità così vaghi che sembrano favole sussurrate, ma credo che la loro opera sarebbe decisamente più meritoria se consistesse nell’insegnamento dello smontaggio e della rimontatura di una pistola. Provocazione? Anche, ma prima voglio udirne il rinculo. Non importa quanto siano deliranti o lucidi certi documenti: per me è importante, superato un certo limite, che nessuno si possa sentire intoccabile, in quanto la tracotanza di alcuni deriva proprio dal senso d’impunità che ne affresca le convinzioni.

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6
Mag

Dall’inconscio in su

Pubblicato domenica 6 Maggio 2012 alle 03:05 da Francesco

Ho quasi terminato la lettura e lo studio de “La scoperta dell’inconscio”, mille paginette divise in due volumi che illustrano la storia della psichiatria dinamica. Avevo davvero bisogno d’affrontare un’opera del genere per approfondire alcune nozioni e per schematizzarle in ordine cronologico. Negli ultimi capitoli mi sono reso conto di quanto abbiano inciso i vissuti personali degli psichiatri nell’elaborazione dei loro sistemi. Se Freud fosse nato e cresciuto in una famiglia come quella di Adler forse egli non avrebbe mai ideato il complesso di Edipo.
Il mio interesse per la psicologia del profondo non è mai stato accompagnato dalla pretesa di trovare una via maestra che potesse risultare valida per ogni individuo. Poiché la psicoanalisi è nata dall’autoanalisi di Freud e la psicologia analitica di Jung ha tratto molto dalla cosiddetta nekyia del suo creatore, anch’io, nel mio piccolo, per scopi introspettivi ottengo parecchio da un attento esame della mia persona, ma attingo pure e a piene mani da alcuni concetti dei luminari succitati oltreché dall’opera di Heinz Kohut: inoltre, benché io non abbia ancora letto nulla della sua bibliografia, ho tratto degli spunti piuttosto interessanti dagli interventi di Eugenio Borgna. Per conoscere me stesso credo che l’introspezione sia fondamentale, tuttavia non la reputo sufficiente ed è per questa ragione che vedo nelle neuroscienze una risorsa importante al fine di oggettivare alcune risultati del processo di autoanalisi. In questo ambito non riesco proprio a separarmi da un concetto esoterico che non ho mai deriso, ovvero quello del ricordo di sé nella dottrina di Gurdjieff, ma l’atto di essere presenti è altra cosa rispetto all’introspezione e forse ha una valenza noetica in senso aristotelico a differenza della seconda che invece è discorsiva. Quest’epoca offre strumenti potenti per la conoscenza di sé stessi, però in taluni casi possono rivelarsi delle armi a doppio taglio. Il simpatico Nietzsche in “Così parlo Zarathustra” fece quel viaggio interiore di cui più tardi si rese protagonista Jung nella suddetta nekyia, tuttavia il primo impazzì poiché non aveva nulla e nessuno al mondo, il secondo invece ne uscì più forte perché grazie alla famiglia e al lavoro fu in grado di mantenere il contatto con la realtà.
La storia mi conferma qualcosa che in passato ho sottolineato più volte sulla base della mia esperienza personale, ovvero la pericolosità di un’introspezione che si arresti in dei punti critici. Forse la superficialità che spesso viene messa all’indice, in alcuni casi è meno deleteria di una introspezione incompleta: quasi una difesa naturale. Oltre un determinato limite, immagino che lo sforzo per conoscere sé stessi sia irreversibile e io penso di averlo già superato da tempo senza però pentirmene.

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1
Mag

Sic transit gloria mundi

Pubblicato martedì 1 Maggio 2012 alle 05:15 da Francesco

Il pensiero della morte è un corvo amorfo che si ferma sovente sulla mia spalla destra: io trovo magnifico il suo piumaggio. Privata di ogni escatologia, la fine dell’esistenza assume dei contorni accecanti. È facile ascrivere certe immagini alle spirali depressive, ma quelle che io traggo non rientrano nelle banalità funeree né tanto meno nelle cornici pessimistiche.
Non sono ancora pronto a separarmi dal corpo, dalle nozioni che ho accumulato, dalla capacità di percepire il reale attraverso i sensi e soprattutto dalla personalità che mi sono costruito, ma talvolta un occhio stanco, forse il terzo, mi cade nell’oblio e là si fa investire da una sensazione di leggerezza che drena i significati posticci. Non c’è nulla di metafisico in me: io scrivo per conto di un’intuizione scanzonata. Talora risulto una persona molto pesante poiché mi trascino dietro riflessioni cupe e sconfino spesso in uno humour nero, ma questo bagaglio di tetraggine per me è un gioco d’infanzia. Ogni tanto mi capita di pensare che difficilmente avrò modo di migliorarmi in maniera significativa, come se avessi già fatto il mio massimo (non molto, invero); su questa base, se fossi un satanista dovrei prendere in considerazione l’idea di uccidermi per rimanere coerente con la dottrina dell’autodeterminazione, però io delle Bestia faccio soltanto le corna, mica le veci: tiè! C’è sempre tempo per crepare: il classico compito che si può rimandare fino alla conclusione dell’estate, fino al primo giorno di rientro a scuola…
Non c’è puzza di avello in queste righe: almeno io non la sento! Celebro la vita con azioni e con rinunce attraverso cui mi prendo cura del corpo e della mente, ma allo stesso tempo sorrido alla scomparsa e cerco di gettare quella zavorra culturale che troppo spesso la rende un tabù o un pretesto per orchestrare lo sgomento. Ho ancora molto da disimparare del sistema di valori e di tradizioni che mi ha investito sulle strisce del passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Provo ad immaginare una ragazza serena, assisa vicino ad una finestra e con il mento poggiato sulla palma di una mano; lo sguardo rivolto alla primavera e la mente all’intimo rapporto con la morte, l’inopinata mietitrice che potrebbe avvicinarla nei suoi anni migliori. Di questo quadretto io mi figuro la leggiadria, la grazia, la tacita ironia. Beh, morire in pace dopo una vita serena mi farebbe respingere ogni prospettiva d’eternità: eviterei di essere prolisso.

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