30
Mar

Un indovino mi disse

Pubblicato venerdì 30 Marzo 2012 alle 21:08 da Francesco

Due giorni fa sul mio fedele Kindle ho finito di leggere “Un indovino mi disse” di Tiziano Terzani e ne ho tratto grande giovamento. Dal libro emerge chiaramente la piega presa dall’Asia e il costo del cambiamento socioeconomico che all’epoca aveva già preso ad attecchire sul contente e di cui la Cina odierna è la conseguenza più palese. La scrittura di Terzani è meravigliosa perché il suo approccio non è quello di un giornalista distaccato, bensì di un uomo che in alcuni passaggi sembra ricercare se stesso oltre a qualche storia da raccontare e in questo senso ritengo che la visione della sua ultima intervista, Anam Il Senzanome, quand’egli sapeva già di dover morire, sia davvero illuminante, tanto per fare un gioco di parole…
Le descrizioni dei luoghi, gli aneddoti, le riflessioni sulle implicazioni storiche dei paesi in cui egli transita o si trova a vivere, le contraddizioni culturali e quelle personali: in questo calderone di umanità c’è l’essenza del viaggio! Ironia, amarezza e commozione costellano un libro che mi ha fatto molto bene e nel quale ho rivisto un po’ l’Asia che ho avuto modo di conoscere: di sicuro non la migliore. Massacri, ideologie, avvicendamenti, trattati e cerimonie; indovini, ex guerriglieri comunisti convertiti al narcotraffico, speranze tradite e opulenze contrapposte a povertà di gran lunga più diffuse: questo e molto di più emerge dalla cronaca di un anno in cui Terzani decide di viaggiare in treno, auto, risciò, moto o nave, per attenersi alla profezia di un indovino, poi avveratasi, che diciassette anni prima lo aveva messo in guardia dal pericolo di volare nel 1993.
Malgrado la coincidenza, traspare chiaramente la natura fiorentina di Terzani ed è così che la divinazione si trasforma in una scusa per viaggiare come già allora avveniva sempre più di rado sulle lunghe distanze, ovvero via mare e via terra, a stretto contatto con un’umanità che non si può assimilare a bordo d’un Boeing né tanto meno in un qualsiasi aeroporto, ognuno uguale all’altro come egli sottolinea giustamente.
Già all’epoca era arduo e pericoloso seguire certe vie della seta, ma oggi lo è ancor di più grazie all’impegno che l’uomo profonde per causarsi vicendevole strazio e di questo mi rammarico poiché v’è in me spirito d’emulazione. Tra una pagina e l’altra ho sentito scalpitare più volte il desiderio di ripartire prim’ancora di terminare la frase sulla quale in quel momento mi trovavo a cavalcare la voglia di perdermi in Oriente con rinnovata spensieratezza. Forse perché ne scrivo tante o per la sicumera maturata nei soliloqui in cui ne rivolgo altrettante a me stesso, ma Terzani, anzi Tiziano, mi ha ricordato come io sottovaluti troppo la forza della parola. Namaste!

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28
Mar

Avanti il prossimo

Pubblicato mercoledì 28 Marzo 2012 alle 21:17 da Francesco

Non credo che ci sia stata un’età dell’oro nel passato recente, ma quanto dovrei scorre a ritroso se volessi trovare nella storia italiana un momento di rottura simile all’attuale? In realtà questa situazione è planetaria. I media tendono a non dare troppo risalto alle notizie dei suicidi, forse per evitare d’istigarne altri che possano incrementare l’effetto domino.
Lo Stato insolvente assolda gli animi affranti delle persone come sicari per privare della vita le carni nelle quali i primi si disperano: l’ultimo atto di una burocrazia macabra. Gente onesta pone fine alla propria esistenza con largo anticipo a causa della disumanità di qualche numero sopra un terminale. Una barbarie degna delle pagine più bellicose della storia antica, però ovattata da distrazioni d’ogni genere e disquisizioni forbite. Ci sono parti del mondo in cui la vita di un uomo vale ancor meno, quasi nulla, ma la tendenza non dovrebbe essere quella di livellare la povertà. Forse in quest’epoca l’Occidente, o almeno l’Europa, si accinge a pagare per il suo colonialismo. Quelle che io chiamo le economie sommergenti hanno cominciato a rivalersi sui discendenti dei loro sfruttatori, ma non ne faccio una questione razziale e, invero, ci trovo addirittura qualcosa di giusto. Da bambino qualche adulto mi diceva: “Staremmo tutti meglio se avessimo tutti un po’ di meno”. Poi costoro riprendevano i loro discorsi sui massimi sistemi con cellulari (all’epoca non diffusi come oggi) pronti a squillare come le trombe degli angeli per annunciare l’ostentazione! Negli ultimi anni ho notato che i terzomondisti sono diminuiti, perlomeno tra le fila dei modaioli. Sento la necessità di seguire il dramma sociale perché la sua elefantiasi non sta avvenendo in qualche paese esotico dove il coup d’état è un avvenimento regolare, bensì è in atto nei confini della mia nazione e ciò mi fa capire come l’empatia sia anche una questione geografica. Io non posso fare nulla per cambiare le cose: ho soltanto un voto che non so manco a chi dare.
Quando lo Stato uccide innocenti allora ai miei occhi tutto è consentito da parte dei cittadini, comprese le azioni violente. Buffo e al tempo stesso disarmante come talvolta si consideri un bagno di sangue l’unico modo per arrestare un’emorragia. Non credo che le soluzioni imposte per uscire dalla crisi economica siano le uniche possibili, però sono certo che cagioneranno altre vittime. Uno dopo l’altro, cadranno in tanti, come nei regimi più truci. La democrazia è imperfetta per definizione, ma non è neanche questa roba qua.

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24
Mar

Paganfest 2012

Pubblicato sabato 24 Marzo 2012 alle 23:37 da Francesco

Mercoledì mi sono recato in quel di Bologna per presenziare al mio secondo Paganfest. Durante il viaggio d’andata ho rodato le orecchie con dosi abbondanti di progressive italiano: due album del Banco del Mutuo Soccorso e due della Premiata Forneria Marconi anche se i miei preferiti nel genere sono Le Orme, Locanda delle Fate e Museo Rosenbach. Durante il tragitto mi sono goduto scenari bucolici che ormai conosco a menadito e di autovelox in autovelox ho pensato a tante cose: recenti, lontanissime, future, imminenti.
Sul palco dell’Estragon sono saliti per primi i Solstafir, una band  islandese che ho apprezzato moderatamente. Troppe sfumature doom per i miei gusti, però a tratti mi hanno esaltato più di quanto mi aspettassi.  I secondi ad esibirsi sono stati gli Heidevolk, una band olandese che ha fornito un’ottima prova benché anche la loro proposta musicale non mi abbia entusiasmato. Ho gradito la performance, ma non mi ascolterei mai un loro disco per intero: offrono un folk metal che a me sa di già sentito e non mi aggrada l’uso che fanno delle doppie voci.
È venuta poi la volta dei Negura Bunget di cui conservo un’ottima impressione. Mi sono piaciuti i passaggi con gli strumenti etnici, ma anche le parti più serrate all’insegna del black metal: forse un ibrido di non facile fruizione che ho comunque trovato notevole. Non avevo mai ascoltato questo gruppo romeno nonostante più volte avessi già intravisto il loro nome sui programmi di varie manifestazioni internazionali.
Penultimi a suonare, perciò secondi in termini d’importanza, i Primordial sono tornati a calcare un palco italiano dopo dodici anni di assenza. Anche loro sono la classica band che apprezzo dal vivo ma per cui nutro una certa insofferenza verso il materiale registrato. Comunque nulla da eccepire in merito al loro live: gradevoli.

Infine ha preso possesso dell’Estragon il gruppo che desideravo rivedere, ovvero gli Eluveitie. Memore della loro grandiosa esibizione di due anni fa, non pensavo che avrebbero potuto fare ancora meglio e invece ci sono riusciti. Questa band dal vivo è davvero spettacolare: in otto sul palco riescono a riproporre fedelmente la complessità dei loro pezzi. Non oso immaginare quale sia la capacità polmonare di Chrigel Glanzmann poiché è un frontman multifunzione: fa di tutto! Ogni volta che vedo quella paffutella di Anna Murphy con la sua ghironda mi viene da ridere perché la trovo buffa, ma quando la stessa intona “Scorched Earth” o prim’ancora “A Rose for Epona”  allora in me subentrano i brividi. A questi ragazzi auguro tutto il bene possibile perché sia su disco che in concerto mi recapitano puntualmente ottime vibrazioni.

A notte inoltrata il bilancio è stato positivo e ho macinato centinaia di chilometri per tornare a casa. Ormai ho anni di militanza a ridosso delle transenne e voglio maturarne tanti altri ancora.

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23
Mar

In mancanza di miglior tepore

Pubblicato venerdì 23 Marzo 2012 alle 01:59 da Francesco

Non riesco a dormire. L’insonnia m’incatena alla veglia, ma almeno posso accompagnare la mia prigionia con la tromba di Miles Davis. Ho maturato così tanta esperienza nel campo del vuoto che posso permettermi di navigare a vista nelle notti in cui non riesco a prendere sonno, ovvero quelle che di solito annunciano giornate di almeno trentasei ore. Lunghe tirate per poi arrivare chissà dove; qualcuno direbbe con spirito pionieristico: “Là dove nessuno è mai giunto prima”. Io sono più terra terra anche se vorrei la Luna o quantomeno una stellina, sia pure disadorna. Non credo che il mondo stia andando a puttane altrimenti, seppur a pagamento, si avvierebbe verso un po’ d’amore, invece tutto dà la sensazione che sia prossimo ad un allegro olocausto. Gli organi d’informazione pompano inquietudine al cervello. La storia è fatta di corsi e di ricorsi. Il tempo passa, amabile mattacchione. Da vecchio sarò serenissimo, almeno quanto Marco Polo o giù di lì, ma col mio stile di vita ne impiegherò davvero una intera per avvizzire. Mi piacerebbe diventare un ultracentenario, ma a tempo debito non me la prenderei troppo se dovessi cadere sotto una malattia incurabile o in un incidente mortale.
Ogni tanto vengo accusato di pensare troppo alla fine, però io cerco di guardare al di là di essa col più ateo dei cannocchiali, quello talmente apostata che ha rinunciato pure alle lenti per non sorbirsi storie di luce, rifrazioni e quant’altro. Ogni tanto mi dico: “Francesco, tu avresti potuto fare qualcosa di buono, ne sono certo”. C’è qualcosa d’incompiuto in me, non so cosa sia però ne avverto la presenza talora ingombrante: comunque nulla che possa rovinarmi il sonno, per quello hanno gli appalti le mancanze affettive. Suvvia, la vita va avanti, per fortuna. L’universo è più clemente di quanto faccia credere: infinito sornione.
Ormai non mi sento più uno straniero in patria, ma quasi un astronauta. A proposito: chissà chi andrà a farsi la scampagnata su Marte quando verrà il momento di fare armi e bagagli in nome della scienza. Non vedo l’ora di cominciare a tuffarmi nelle belle acque della mia zona anche se negli ultimi mesi sono stato in apnea a scandagliare abissi variabili.

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18
Mar

Guerra e pace

Pubblicato domenica 18 Marzo 2012 alle 13:24 da Francesco

Sono tempi luttuosi, critici, parossistici, propedeutici per l’autolesionismo: è la stagione delle piogge corrosive. Nel mondo e nella mia esistenza si succedono eventi tutt’altro che piacevoli, ma io resisto alle forze contrarie e ci provo gusto. Ricorro all’archetipo del guerriero e alla sublimazione per fronteggiare il senso del vuoto e la pochezza che pretende di riempirlo. Le prove di forza non bastano, quelle d’intelletto senza le prime sono esercizi di stile e la sintesi d’entrambe è difficile, ma al contempo troppo attraente per non perseguirla. Avverto scariche d’orgoglio che mi fanno sentire vivo. C’è un romanticismo imponente e una dolcezza infinita nell’amore autentico verso sé stessi. Le cadute sono inevitabili e un giorno ce ne sarà una irreversibile, ma può bastare un appuntamento certo per negare tutto ciò che non rientri in una prevedibilità altrettanto granitica? Per me la risposta è no. Cerco di non ripetere gli errori di chi mi ha preceduto e non lascio la mente alla mercé delle circostanze. Qualche volta devo compiere due passi indietro per farne tre avanti, ma lo accetto perché so che l’alternativa è ancora più spossante. Non temo troppo il futuro e manco il presente benché quest’ultimo fagociti ogni cosa e sputi sentenze di morte.
La mia indole è coriacea, ma non so bene in che misura sia merito mio e quanto invece sia da ascrivere a fattori congeniti. Qualche volta ho la sensazione di ritrovarmi la forma mentis di un avo dimenticato che abbia speso l’esistenza a falciare paure, ansie, fisime e quant’altro spesso causi un fratricidio endogeno: l’Es che dilania l’Io. Non riesco a tollerare la meccanicità delle azioni, non voglio farmi coinvolgere dalla mediocrità più di quanto già vi sia esposto, bensì ho il bisogno di agire consciamente, di strappare più terreno possibile ai processi nascosti che sono schierati su alture profondissime. Non è finito proprio nulla: mi sono appena affacciato al preludio.

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17
Mar

Il pezzo di carta

Pubblicato sabato 17 Marzo 2012 alle 13:11 da Francesco

Per un po’ di tempo ho valutato l’ipotesi d’iscrivermi all’università, ma alla fine ho deciso di non farmi un torto del genere. Gli atenei traboccano di autodidatti, ma pretendono un esborso di denaro e di tempo che è difficile ammortizzare in seguito. Col solo diploma e senza spintarelle, un mio coetaneo è arrivato a gestire il sistema informatico di un ospedale: ricordo ancora quando veniva a casa mia a smanettare con un vetusto Pentium. Un altro ragazzo di mia conoscenza invece possiede soltanto la licenza media, però ha coltivato la passione per l’informatica e per l’elettronica nella stanzetta di un palazzone e oggi fa valere il suo bagaglio di conoscenze in un lavoro che gli ha permesso di trasferirsi. Come ho sentito dire recentemente: “Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna”. Qualcheduno ritiene che la frequentazione dell’università debba formare la persona prima che lo studente, ma sono giunto all’amara conclusione che spesso serva esclusivamente ad alimentare il mercimonio di una cultura fine a se stessa: stipendi e nepotismo. Quand’ero bambino il leit motiv non cambiava mai: “Dovete studiare per trovare un buon lavoro”. Educatori birbanti. Mi sarei voluto laureare in psicologia per poi potermi iscrivere ad una scuola psicoanalitica, ma nel mio caso il gioco non vale la candela. Qualcun altro in merito all’università pone l’accento sulle possibilità di stringere nuove conoscenze, come se la parte didattica fosse soltanto la scusa per parcheggiarsi in un postribolo: diamine, con tutti gli sforzi per mantenercisi allora sarebbe meglio aprirne uno proprio! Non si porrebbe questione alcuna se io avessi uno spessore esagerato, tale da garantirmi l’accesso a degli atenei statunitensi.
Non mi butto giù, e ci mancherebbe altro, bensì prendo atto dei limiti altrui e in modo particolare dei miei: annoto i primi mentre sui secondi pianto la tenda provvisoria di un campo base per un’altra scalata. Non cerco d’interpretare in senso assoluto la questione formativa, non mi faccio querulo, ma compio scelte che abbiano come fine ultimo il mio bene: il resto sia quel che sia.

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16
Mar

Di casta e disinibita perpetuità

Pubblicato venerdì 16 Marzo 2012 alle 13:01 da Francesco

Mi sento avvolto del tutto da un vuoto pacificatore. Alcune coincidenze le trovo davvero buffe e se fossi suggestionabile sospenderei il mio ateismo, mi spoglierei sulla riva di un torrente e canterei degli inni alla mia buona stella per una notte intera. In realtà (non potrei usare incipit migliore) preferisco serbare la mia nudità pubblica per un atto di disubbidienza civile o per la prima scopata, ma sarebbe quantomeno simpatico se entrambe si verificassero nella stessa occasione: per me è più facile trovare validi motivi per la prima che per la seconda. Ultimamente si sono allungati gli intervalli della mia masturbazione (solo questi, sia chiaro), difatti da un po’ di tempo tra una sega e l’altra intercorrono circa tre giorni. Per anni ho provveduto a eiaculare una volta al dì in modo da eliminare lo stress per svolgere le mie attività con più leggerezza, perciò suppongo che in questo periodo io stia lambendo l’atarassia a mia insaputa. Non che in me vi siano mai state tempeste ormonali di grande intensità, però di rado ho avuto la cattiva creanza di non recar visita a dei siti pornografici per agevolarmi nella masturbazione. Mi fa ridere la pudicizia e la reticenza con le quali taluni trattano l’argomento. Conosco persone che hanno fatto tutto ciò che il contorsionismo erotico consente e che violerebbero pure le leggi fisiche se ne fossero in grado, ma quelle stesse persone provano disagio o vergogna a parlare della loro sessualità sotto un profilo che non sia quello esibizionistico. Soltanto il mio corpo è vergine: ho una mente disinibita. La masturbazione mi ha insegnato ad amare in senso platonico benché ancora non abbia avuto occasione di mettere a frutto gli insegnamenti ricevuti su quel piano né su quello carnale. I risvolti meno gradevoli della mia bizzarra condizione vengono meno quando comprendo il grado di libertà che ho conseguito nel non esercitarne alcuna, ma, in forza delle cognizioni acquisite, ciò non significa che le cose non possano cambiare in futuro. Tempo al tempo: oggi ad esempio è soleggiato e mi appartiene in ogni sua accezione.

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13
Mar

E la mestizia m’accusò di lesa maestà

Pubblicato martedì 13 Marzo 2012 alle 10:25 da Francesco

Calpesto pezzi di vetro o frammenti vermigli di cuori infranti? Guardo coloro che sono caduti prima di me e faccio un passo di lato per non rientrare nell’effetto domino. Esistono storie che non sono mai state raccontate, dei supplizi consumati nella quotidianità più crudele e delle lacerazioni profonde che hanno reso vane intere esistenze. Ho consultato la pinacoteca degli orrori presso gli occhi di certe persone e nelle memorie di quelle le cui palpebre si sono serrate anzitempo. In alcuni casi ho dovuto limitare l’empatia per non soccombere, ma ho imparato più di quanto questa stessa retorica possa evocare per ingloriarsi.
Mi sento come se avessi indagato degli abissi catramosi e ne fossi uscito con le ali immacolate. Non mi crogiolo in un’identità che vuole slegarsi da tutto il resto poiché il mio obiettivo è esattamente il contrario, difatti consiste nel rendermi parte della realtà accessibile senza però snaturarmi. Ormai più che incipiente, la primavera giunge al momento giusto, ma un giorno anch’essa scomparirà. Non chiedo niente al tempo e soltanto la mia prosa è l’ambasciatrice di istanze che devono guardarsi dalle fiamme dei fuochi fatui. Il mio non è un cuore di ghiaccio, tutt’al più ignifugo perché la passione deve ardere assidua e non carbonizzare le anime. Il tempo che ho davanti è un corridoio invitante, idoneo per un ulteriore slancio, per prendere l’abbrivo necessario a compiere un salto sopra il prossimo burrone senza così finirci dentro, né con i piedi di piombo né con la testa fra le nuvole.

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12
Mar

Run or die trying vol. 6

Pubblicato lunedì 12 Marzo 2012 alle 11:11 da Francesco

L’altro ieri ho creato la sesta playlist con cui accompagnare le mie sessioni di corsa e domenica mattina l’ho provata su strada per diciotto chilometri con risultati pregevoli. Ho ricevuto anche la certificazione di due ciclisti un po’ attempati ma ancora arcigni, forse ex podisti: entrambi infatti hanno riscontrato in me delle doti da fondista, in particolare nel modo di alzare le gambe, però mi conosco e so che parte del merito dell’andatura è sempre da ascrivere al tappeto musicale. Peccato che mi manchi la fame agonistica e che io oggi punti a salvaguardare la muscolatura, sennò mi sarei divertito a pesare cinquanta chili in modo da avere qualche piccola chance per vincere delle mezze maratone: sono felice comunque di riuscire ancora a toccare punte di sedici chilometri orari su quelle distanze.
Ogni tanto mi sembra di prendere il testimone dell’entusiasmo che fu di chi già si è incanutito e la cosa mi diverte. Gli ex atleti (benché per me siano ancora tali) sovente mi paiono lontani dal mondo gerontocratico dei loro coetanei (non affermo che taluni non possano essere sia l’uno che l’altro), come se l’attività fisica avesse instillato in loro l’umiltà necessaria per svolgerla con costanza nonché quella altresì indispensabile per impedire l’insorgenza delle frustrazioni legate all’invecchiamento. Francesco ogni tanto inciampa nei pensieri, ma corre sempre: beato lui.

1. Virgin Steele – The Burning of Rome

2. Domine – The Messenger

3. Crosswind – Eye of the Storm

4. Istanzia – Power of the Mind

5. Pathfinder – Beyond The Space, Beyond The Time

6. Dreamtale – Chosen One

7. Rosae Crucis – Anno Domini

8. Eluveitie – A Rose For Epona

9. Therion – Voyage of Gurdjieff

10. Vexillum – Il Giocatore di Biliardo (Branduardi cover)

11. Silverlane – Wings of Eternity

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10
Mar

Lontanissimo dal faro di Alessandria

Pubblicato sabato 10 Marzo 2012 alle 08:37 da Francesco

Stamane il vento spira forte, però non si trascina dietro il gelo: forse non sono la persona più indicata per valutare la temperatura esterna. Anche quest’anno non mi sono ammalato; non ho avuto una linea di febbre né un raffreddore: solo degli sporadici starnuti. Odio portare addosso più di quanto serva ed è per questa ragione che mi svesto al cospetto dell’inverno come ai piedi dell’introspezione. Ho in custodia delle sensazioni gradevoli, ma nulla di trascendentale.
Sorseggio del ginseng e penso a Ipazia ora che le mie parole non possono più raggiungerla né ferirla. Sono stato profondamente scortese nei suoi confronti, spesso scostante e non ho mai saputo avvicinarla come invece avrei dovuto, ma pago per i miei sbagli e alzo la tazza in loro onore: ad maiora. In lei avevo intuito le potenzialità di un Io ancora acerbo, un complice ideale. Mi viene da ridere perché se avessi avuto più tatto forse le cose sarebbero andate in maniera diversa, ma evidentemente non conosco mezze misure: a qualcun altro il compito di ghermirla. Coltivo idee per anni e ogni volta ne restano nient’altro che erbacce: non ho il pollice verde e di sicuro è un altro il dito con il quale devo toccare il cielo. Non riesco a fare il passo decisivo oltre il mondo platonico, eppure non sono un idealista. Ogni individuo ha qualche nome a cui legare i propri ricordi, però io lascio tutto a briglia sciolta perché non amo le idee fisse e grazie a degli sventurati ho compreso quanto queste siano pericolose.

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