11
Mag

Stato di fatto

Pubblicato mercoledì 11 Maggio 2011 alle 15:26 da Francesco

Sto completando la pagina numero quarantatré del mio terzo libro. Scrivo molto lentamente, ma inesorabilmente. In queste meravigliose giornate di primavera preferisco svolgere attività fisica all’aperto, perciò dedico alla scrittura quel tanto che basta per non trascurarla.
Ho cambiato il mio allenamento perché ho deciso di ridimensionare il ruolo della corsa sebbene quest’ultima resti un perno della mia attività. Ho sviluppato la resistenza aerobica al punto che per migliorarla ulteriormente dovrei dedicarmi all’agonismo, ma non intendo farlo poiché non mi passa neanche per l’anticamera del cervello di fare il maratoneta. Ormai l’allenamento pesistico ha assunto un ruolo paritario alla corsa nel mio programma.
Ultimamente corro dodici chilometri cercando di sfiorare la soglia della mia frequenza cardiaca e a metà del percorso mi fermo per eseguire trazioni e addominali. Talvolta corro con le cavigliere da due chili e mezzo l’una, altre volte senza e ogni tanto le metto ai polsi dove le accuso di più. L’ausilio delle cavigliere mi ha aiutato a migliorare la forza esplosiva nelle gambe e la resistenza nelle braccia, difatti adesso riesco ad allenare ciascun bicipite con un manubrio da sedici chili: il bilanciere lo adopero soltanto per eseguire quella che in gergo si chiama military press. Invece le serie di piegamenti a terra sulle braccia le faccio sempre da quaranta ripetizioni l’una, ma con un ritmo più veloce rispetto al passato e talvolta ne eseguo qualcuna in più per gasarmi un po’. In ultima analisi, la mia attività fisica ha assunto i contorni di un allenamento militare che non ha nulla a che vedere con i programmi delle palestre né con corsi di qualsivoglia genere. Si tratta di un allenamento che ho ricamato su misura per me e nel quale, con l’avvento dell’estate, inserirò il nuoto. In passato sono stato sicuramente più veloce, ma non sono mai stato più forte di ora. Ovviamente io posso ancora correre senza problemi i ventuno chilometri sui quali mi allenavo precedentemente, tuttavia con un tempo medio superiore a quello che registravo quando la mia attività era prettamente aerobica e ciò è normale poiché ho dovuto sacrificare un po’ di velocità. Per quanto riguarda lo yeop chagi sono ancora lontano dal poterlo eseguire correttamente, ma ho notato qualche lieve progresso nella flessibilità degli arti inferiori (cazzo escluso).
Ho ripreso in mano un libro di programmazione in C per rinfrescarmi la memoria e avvalermi del linguaggio informatico per evitare che la mia mente si areni nelle letture di carattere umanistico. Spero che il mio terzo libro sia anche l’ultimo: vorrei evitare di scriverne altri. Speriamo bene, va.

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10
Mag

Princìpi d’amore

Pubblicato martedì 10 Maggio 2011 alle 16:41 da Francesco

Ultimamente dalle mie parole s’alzano verso la coscienza le mancanze affettive di cui io sono un portatore sano. Forse le spire della primavera, in cui paiono volteggiare le creazioni più sublimi, acuiscono in me una nostalgia che non posso definire tale perché antecede la separazione dalla quale solitamente si origina. Credo che ogni cosa buona si generi autonomamente e allo stesso tempo conceda agli esseri senzienti l’illusione di potersene ascrivere i meriti.
Ricorre in me la mancanza di una controparte e l’incompletezza che ne deriva. Talvolta mi sento come un invalido emotivo benché mi renda perfettamente conto di quanto io sia predisposto ad amare. Le incursioni dell’autocommiserazione vorrebbero minare la mia autostima, ma riescono soltanto a produrre frustrazioni di scarsa portata che puntualmente riciclo per produrre energia durante l’attività fisica. La tristezza non mi domina sebbene tenti in ogni modo d’impadronirsi di me, ma qualche volta credo che sia opportuno cedere  po’ di terreno alle forze antagoniste per poi metterle in fuga. Questa lotta interiore dimostra quanto io sia in salute sotto ogni aspetto. Se non provassi nulla o se mi fossi arenato in quella bieca idiozia che è il fatalismo, allora forse sfoggerei un’atarassia insincera. Il travaglio precede il parto e quest’ultimo attesta la creazione. Senza ingiuriare troppo la modestia, io mi sento come un tesoro da scoprire, immerso nel tempo corrente e nascosto dagli schemi consuetudinari delle relazioni interpersonali.
La mia inclinazione monogama desta spavento e agli occhi altrui produce congetture sbagliate. Non si tratta di una gara benché l’amore sia effettivamente una disciplina olimpica, ma ammetto di non conoscere persona alcuna che sia in grado di essere all’altezza d’un sentimento univoco. Concedersi a molti o a nessuno è cosa assai comune e semplice, perciò a qualsiasi livello, fisico o platonico, taluni e talune tengono i piedi in più scarpe, ma proiettare il tempo e le attenzioni verso un unico individuo senza ingenerare dipendenza reciproca è un atto miracoloso.
Non è una semplice unione dilatata nel tempo ad elevare l’animo umano, altrimenti basterebbe omologarsi ai falsi valori di qualche stupida religione per toccare il cielo con un dito, bensì è la consapevolezza e l’autenticità dei sentimenti reciproci a determinare una compiutezza duplice. Dall’istinto si può evadere soltanto con la ragione e secondo me è un percorso razionale quello che conduce all’amore sebbene io creda che quest’ultimo non rientri nel primo né nella seconda. La poesia e il romanticismo spicciolo alimentano i rapporti di dipendenza, nascondendone i tratti insinceri con parole quali “alchimia” e “magia”, ma io non conferisco all’amore soprannaturalità e per questo motivo lo elevo al livello dell’essere umano invece di confinarlo nella superstizione. La mancanza che provo è naturale così come lo è ciò che può dissolverla, di conseguenza tutto è nell’ordine delle cose e per me è un grande privilegio rendermene conto.
Chiunque venga sopraffatto dalla tristezza per l’assenza d’amore nella propria esistenza forse riduce a quest’ultima l’intera realtà, ma la natura e le regole che la sottendono non sono affatto il riflesso di un’esperienza soggettiva. Un tempo gli esseri umani si limitavano a riprodursi, ma poi alla necessità di figliare s’aggiunse quella di amare nel senso più profondo che da qualche secolo viene attribuito a questo verbo, erede di parole diverse e sito nell’etimologia quanto lo è l’amore nella filogenesi. Non mi si parli d’amore quando due solitudini annoiate si ritrovano a giocare con i loro sessi: quello è un passatempo istintuale che se venisse praticato in misura maggiore renderebbe questo pianeta meno frustrato e non è affatto paradossale che io scriva ciò. Quanto mi auguro non s’eredita né si compra, non si patteggia né si può pretendere, perciò è meglio che io aguzzi lo sguardo per ravvisarlo nel susseguirsi degli eventi.
Nessuna idealizzazione deve colonizzarmi e non devo tributare nulla ai pensieri perché questi non esistono a meno che non abbiano dei garanti nella realtà in grado di avvalorarne l’essenza. Nella realtà quotidiana quanto ho scritto finora non si tradurrebbe né si traduce affatto in un asservimento mutuo e sfuggirebbe (difatti sfugge) di certo ai toni ampollosi di questo appunto, perciò conterebbe (e solo può contare) sull’ironia, perno di ogni istanza che abbia la sua origine nelle regioni più nobili e autentiche della personalità. Io non devo identificarmi nell’altra né delegarle la mia sopravvivenza, bensì rassicurarla per andarci di pari passo.

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9
Mag

Il sei giugno dell’ottantaquattro

Pubblicato lunedì 9 Maggio 2011 alle 11:46 da Francesco

Vado dritto verso i ventisette anni e non mi sono mai sentito meglio. Dando un rapido sguardo al passato vedo un bambino timido e un adolescente disadattato che non c’entrano più niente con il sottoscritto. Qualche persona della mia infanzia è morta, qualcun’altra è come se lo fosse, però io sono ancora qua e non me la passo male. Forse avrei potuto combinare qualcosa di più nella vita, ma per fortuna non l’ho fatto. Mia madre sarebbe stata contenta se mi fossi iscritto all’università e forse alla fine anche a me avrebbe fatto piacere frequentare una facoltà, però io non ho mai avuto grandi ambizioni tranne quella d’amare, forse una delle più difficili da coronare e infatti non ho mai passato il test d’ingresso.
Sono stato bocciato, mai baciato, e ho sempre ripetuto lo stesso esito. Eh, esaminatrici severe. Ho tutta la vita davanti, anche se dietro me ne manca qualche pezzo. Attorno a me vedo padri di famiglia, arrivisti, studenti, farabutti e utopisti svogliati. Qualcuno corre ancora dietro ad un pallone ed è l’unica cosa che riesce a far rotolare dalla propria infanzia. Quasi tutti miei coetanei sono diventati adulti nel peggior senso della parola. Credo che ognuno decida deliberatamente quando invecchiare. Sono governato da idioti che a loro volta vengono criticati da altri idioti e anch’io a mentre punto il dito contro questi individui non mi sento particolarmente intelligente.

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7
Mag

Emozioni evolutive

Pubblicato sabato 7 Maggio 2011 alle 01:15 da Francesco

Se io mi fossi lanciato nella lettura de “Il cervello e il mondo interno” da una base di convinzioni religiose o filosofiche forse avrei finito per prendere in considerazione l’eventualità di suicidarmi. Ritengo che un approccio sbagliato al libro summenzionato possa creare derive materialistiche e disincanto, ma per fortuna io non sono andato incontro né alle une né all’altro e non ho avuto problemi ad accettare la nicchia genotipica delle emozioni di base.
Al momento mi trovo ad affrontare quelle pagine che trattano delle emozioni e dei luoghi in cui queste si originano. Non nego (né d’altro canto potrei) d’aver provato un po’ di disagio quando ho compreso pienamente che le emozioni possono essere accese, spente e modificate con la somministrazione di alcune sostanze, per mezzo di ablazioni chimiche o con interventi chirurgici. Ovviamente non mi sono stupito di quello che ho letto poiché ero già a conoscenza di quanto le emozioni siano ascrivibili ai processi neurobiologici, tuttavia mi ha colpito la freddezza di come è stato sottolineato questo rapporto; d’altronde non potevo nemmeno aspettarmi qualcosa di diverso poiché ho tra le mani un testo scientifico, mica “Cime tempestose”.
Le cosiddette “emozioni di base” sono comandate da quattro sistemi e le strutture che questi chiamano in causa si concentrano in una regione cerebrale circoscritta, più precisamente tra le zone superiori e mediali del tronco encefalico. Ho appreso che durante alcuni esperimenti certe cavie animali subordinavano le azioni biologicamente utili all’esecuzione di compiti che, con la tecnica del bastone e della carota, permettevano loro di ricevere una stimolazione elettrica del sistema di piacere, sito in gran parte nel prosencefalo basale. Il parallelismo tra le cavie di cui sopra e i tossicodipendenti  è sorto spontaneamente in me, ancor prima che il libro me l’offrisse. Il sottotitolo di questo volume è “Introduzione alle neuroscienze dell’esperienza soggettiva” e lo trovo significativo. La mia formazione autodidattica è prevalentemente umanistica benché di fatto non lo sia secondo certi canoni e forse per questa ragione ho impiegato un po’ di tempo a mettere le mani su determinati testi. Alla mia introspezione sta giovando la trattazione di questi argomenti e sarebbe stato meglio se già in passato me ne fossi interessato con più attenzione.

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3
Mag

Nell’ecumene

Pubblicato martedì 3 Maggio 2011 alle 00:13 da Francesco

Negli ultimi giorni l’agenda del globo terrestre è stata dettata da avvenimenti che hanno avuto una grande risonanza, tuttavia soltanto le nozze reali hanno suscitato in me un po’ di curiosità. Kate Middleton mi ricorda la ragazza australiana (di origini scozzesi) che lo scorso gennaio mi folgorò con il suo sguardo indaco durante il tragitto in barca sul fiume Hozugawa. Anche se non dovessi mai esperire l’amore, mi resterà comunque quella visione celestiale da portare con me. Mi ha disgustato il fanatismo che ha accompagnato la beatificazione di quel vecchio filibustiere di Karol Wojtyla e spero vivamente che il clero imploda presto come il nucleo di una supernova. In quest’epoca l’ignoranza e la superstizione esercitano ancora la loro egemonia. Tanti fedeli si dichiarano tali senza conoscere profondamente la dottrina che abbracciano e ciò vale per ogni religione. In Italia l’aria è viziata dal misticismo da osteria che si respira in vari ambienti, a vari livelli e per causa di una variante del varicocele che affligge le teste di cazzo: l’eziologia risiede nell’escatologia, nell’ermeneutica, insomma, nel mito.
Per Gandhi, con la mentalità dell’occhio per occhio il mondo diventerebbe cieco, ma la perdita della vista almeno permetterebbe a questo pianeta di non doversi più specchiare nelle proprie miserie. I terroristi sono come i papi e viceversa: morto uno ne giunge un altro. Poveri tutti noi. Mi auguro che un giorno il mondo possa fare a meno delle carceri e che invece di correre ad armarsi corra ad amarsi, ma per ora quell’orgia planetaria la ritengo più distante di quanto la mia immaginazione riesca a galoppare. Intanto la Luna c’è sempre, pallida per lo spavento di ciò che è costretta a vedere. Anche il sistema solare è colpito dalla piaga del bullismo. C’est la vie.

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1
Mag

No mercy for any fashion victim

Pubblicato domenica 1 Maggio 2011 alle 02:49 da Francesco

Aborro i jeans e le camicie, difatti non ne possiedo. Mi disgustano i bottoni e le chiusure lampo. Per me la t-shirt è quasi una seconda pelle e la uso anche d’inverno nonostante le perplessità degli estranei. Le felpe le adopero di rado o quando mi trovo all’estero, ma tendo a vestire allo stesso modo per tutto l’anno, un po’ come il personaggio di un cartone animato. Non potrei mai separarmi dai pantaloni di tuta sportiva che recano due bande per gamba e lo stemma di un qualche club calcistico in declino benché io, sia chiaro, non tifi per nessuna squadra.
Quanto scritto finora potrebbe identificare il mio stile come prossimo a quello di un senzatetto o di un nordafricano in cerca di un futuro migliore, ma io preferisco definirlo uno stile “pop”. Adoro la t-shirt ironica e politicamente scorretta perché veicola un messaggio. Non spenderei manco mezza rupia per indossare dei capi griffati. Sono sempre stato un minimalista. Da piccolo mia madre mi vestiva come un coglione, infatti prima d’entrare nell’età della ragione avevo una guisa alla Gian Burrasca sebbene nell’animo assomigliassi più a Saddam Hussein, come soleva chiamarmi la mia nonna materna ai bei tempi della prima guerra del Golfo (invero anche dopo). Io non sono sciatto, bensì diversamente fashion. In realtà della moda non me ne frega proprio un cazzo e nessuno mi vedrà mai con un paio di Ray-Ban sul volto. D’altronde Franco Battiato ai tempi di “Bandiera Bianca” intonò una grande verità: “C’è chi si mette degli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero”.
La mia non è avversione verso un determinato mondo, bensì una sorta di fanatismo per quella santa alleanza che vede coinvolti lo stile personale e la comodità. Ai piedi porto sempre un paio di Mizuno per essere pronto a correre in qualsiasi momento, ma non disdegno manco le Asics. Spesso noto come certe aspiranti sgualdrine tentino goffamente di imitare Kate Moss e in me suscitano tanta tenerezza, come se bastasse avere una trentotto e sniffare cocaina per avere stile. Un portamento grezzo, dei movimenti rozzi, una dizione degna di una vaiassa e un ricorso al trucco a mo’ di Scaramacai rendono certe signorine le antagoniste agguerrite dell’eleganza e soprattutto della naturalezza che a mio avviso va di pari passo con la prima.
Provo un’avversione estetica verso quelle donne che caricano i loro corpi con vestiti e oggetti che non sono chiaramente in grado di portare, perciò credo che un negozio di moda o un atelier prima di fornire un abito dovrebbero approntare un corso per l’abilitazione ad indossarlo. Provo quasi ribrezzo dinanzi a certe stonature e preferisco di gran lunga guardare la merda dei cani che si mette in posa sui marciapiedi. L’abito non fa il monaco, però talvolta può far sorgere il desiderio di diventarlo. Di per sé la questione stilistica è una grande cazzata, ma è indice di qualcosa di più profondo. Ci sono sottigliezze che fanno grandi differenze in campi che paiono non riguardarle. Un esempio per rendere più chiaro ciò che intendo può mettere a confronto le differenze tra Roberto Bolle e qualunque altro individuo che abbia un corpo simile ma che non sia in grado di muoverlo allo stesso modo.

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